Qualcuno si sarà a abituato a definirlo un realista. Definizione che ci sta tutta se si considerano i tanti chiodi con cui, la scorsa settimana (qui l’approfondimento di Formiche.net) Giovanni Tria (nella foto) ministro dell’Economia, ha puntellato la linea dell’Italia gialloverde nei confronti dell’Europa. Pochi sogni, discutere sì ma i conti pubblici non vanno sballati, il messaggio di fondo. Da oggi però si potrà anche parlare in tutta tranquillità di un Tria europeista che in una compagine governativa dall’alto tasso di euroscetticismo, ha un certo peso specifico.
La riprova è arrivata questa mattina nel corso della seconda giornata dell’edizione numero 30 del seminario Villa Mondragone, animato e promosso dalla Fondazione Tor Vergata, presieduta da Luigi Paganetto e svoltasi presso la facoltà di Economia di cui Tria è stato preside fino alla nomina al Tesoro. L’occasione era la lecture del premio Nobel 2006 Edmund Phlelps, preceduto però da un breve ma compatto intervento del responsabile di Via XX Settembre. Tema, l’Europa e il suo futuro in un mondo ad oggi stritolato dalla guerra, commerciale, tra Cina e Stati Uniti.
L’Europa rimarrà spettatrice o tornerà finalmente ad avere un ruolo degno di tale nome nel contesto globale, la domanda di fondo, ad oggi senza risposta precisa, dalla quale ha mosso la riflessione di Tria. “Ad oggi viviamo una fase di straordinaria competizione tra la Cina e l’America. Ma questo impone la necessità di entrare in questa competizione, perché non può rimanere tutto quanto solo una gara tra loro. Bisogna capire quale sia il posto nostro, di europei nel mondo. Vogliamo assistere o partecipare. Spartirci qualcosa di più grande o spartirci quello che abbiamo al nostro interno?” si è chiesto il ministro.
Certo, lo stesso Tria, da buon realista, non ha potuto fare a meno di ammettere l’esistenza di grandi divisioni all’interno dell’Ue, a cominciare dalla gestione del fenomeno migratorio. Ma questo non deve indurre a gettare la spugna e rinunciare all’aspirazione di un’Europa formato globale. “Siamo in un momento problematico per il futuro dell’Europa, che deve scegliere se rilanciare puntando su innovazione e competizione o ripiegare sugli egoismi nazionali, guardare fuori o limitarsi ad assecondare le logiche interne e le divisioni di cui soffre”, ha annotato Tria.
“L’Ue sta attraversando problemi nelle sue interazioni interne, penso che i problemi possano essere superati se l’Europa capisce veramente che deve guardare fuori e cercare il suo grande ruolo. Spartire costi e posizioni all’interno o ritrovare il suo grande ruolo” è per Tria nella sostanza il bivio che Bruxelles si trova a incrociare. D’altronde non c’è molta alternativa a questo. E il titolare del Tesoro lo sa bene, tanto da mandare un messaggio subliminale ma non troppo a chi invece la pensa diversamente. “Fuori dall’Europa e fuori dall’assetto globale c’è solo la stagnazione. I governi, tutti i governi, lo tengano a mente, sempre: nel mondo Occidentale accanto alla richiesta di sicurezza, bisogna creare la voglia di cercare il successo, spazio per la creatività, l’iniziativa, la ricerca del nuovo? Al di fuori di questa strada c’è solo stagnazione, dobbiamo ricreare questo spirito, vale molto per l’Europa, vale per l’Italia”.
Non che il premio Nobel Phelps la pensasse molto diversamente. “I paesi europei e occidentali per ritornare prosperi e floridi, dovrebbero ripristinare lo spirito di innovazione. In Italia si è avuta una graduale perdita di innovazione autoctona negli anni ’50, ’70 e ’90 , che precedentemente aveva garantito salari elevati e maggiore occupazione”. Dunque, ancora una volta è l’innovazione la parola magica per un’Europa non più ai margini del globo. “I governi dovrebbero favorire il dinamismo delle proprie economie e mantenere l’afflusso di tecnologie sufficientemente lento, in maniera tale da poter sostenere salari e occupazione, anche grazie a maggiori entrate fiscali”.