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Un link chiamato Bannon. Ecco chi unisce Trump alle destre europee

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Il divorzio doveva essere netto, consumato, irreversibile. Ma a giudicare dalla comunione di intenti e opinioni quella fra Donald Trump e il suo ex capo stratega Steve Bannon sembra più una separazione consensuale, una relazione a distanza. Oggi il presidente Usa, rispondendo al fuoco incrociato di repubblicani e democratici che lo accusano di mostrarsi insensibile alla drammatica separazione delle famiglie di immigrati al confine con il Messico, ha rincarato la dose facendo sua una battaglia che Bannon porta avanti senza sosta da quando Trump lo ha pensionato in anticipo: l’immigrazione in Europa. La prima stoccata su twitter è arrivata alla Germania: “Il popolo tedesco si sta rivoltando contro i suoi leader e l’immigrazione sta scuotendo la già debole coalizione di Berlino. Il crimine aumenta sempre più in Germania. In tutta l’Europa hanno commesso il grande errore di far entrare milioni di persone che hanno cambiato radicalmente e violentemente la loro cultura”. E pensare che pochi giorni fa Trump aveva accusato i fake news media di oscurare il suo “meraviglioso rapporto con Angela Merkel“.

La seconda stoccata invece è rivolta a tutto il Vecchio continente. “Non vogliamo che ci accada quel che sta accadendo in Europa con l’immigrazione!” ha tuonato Trump.  

I toni esasperati sono tipici del tycoon, ma sono anche il segno di un momento di pesante frustrazione. I repubblicani lo stanno lasciando solo sul dossier immigrazione clandestina. Chiedono assieme ai democratici una soluzione middle way, meno drammatica. Trump non ne vuole sapere, e continua imperterrito in una battaglia senza esclusione di colpi per tenere la barra dritta. Al cuore dello scontro, dicevamo, c’è la straziante separazione di più di 2mila bambini sudamericani dai loro genitori, fermati alla dogana per i motivi più svariati (ingresso illegale, violenza, traffico di stupefacenti). Messo sotto tiro da entrambi gli schieramenti, il presidente Usa non vuole cedere di un metro e definisce disumani i senatori e i congressmen che si oppongono a una riforma della legge sull’immigrazione.

Mentre i compagni di partito gli voltano le spalle, c’è qualcun altro che accorre in difesa del presidente Usa: Steve Bannon. In un’intervista a Abc This Week l’ex chief strategist del presidente minimizza senza batter ciglio il dramma delle separazioni famigliari al confine. “Tolleranza zero. Non c’è bisogno di giustificare nulla” ha chiosato di ghiaccio. Poi l’endorsement a Trump ricordando i bei tempi insieme: “Abbiamo portato avanti una politica molto semplice: fermare l’immigrazione illegale di massa e limitare quella legale, e lui ha optato per la tolleranza zero”.

Chi lo avrebbe detto, dopo tutto quello che è successo. Sono passati dieci mesi da quando “Sloppy Steve” è stato cacciato, anzi ripudiato dalla Casa Bianca. A far da pomo della discordia il best seller di Michael Wolff  “Fire and Fury”, dove lo stratega apostrofa il presidente con parole poco amichevoli. E però Bannon è tutto fuorché in pensione. Forse il fondatore di Breitbart News non sarà più gradito a Washington DC e non può più fare il terzo grado agli alti ufficiali di Capitol Hill. Ma ha trovato un altro mercato, potenzialmente più redditizio, per creare un esercito di populisti contro quello che ama definire “il partito di Davos”: il Vecchio Continente. I movimenti anti-establisment europei fanno la fila per ospitarlo, applaudirlo, incontrarlo. Perfino quelli che anti-establishment non possono essere più, perché da qualche mese sono entrati nella stanza dei bottoni, come Lega e Movimento Cinque Stelle.

Bannon ricambia l’affetto, si spreca in interminabili elogi per i suoi demolitori europei, leader coriacei come Marine Le Pen, Matteo Salvini, Viktor Orban. E invita alla resistenza contro l’establishment, l’Europa, Soros, il papa e chi più ne ha più ne metta. Un file rouge attraversa i suoi comizi europei, i suoi accorati appelli per una rivoluzione populista: la crisi migratoria. Non c’è cavallo di battaglia migliore per cavalcare l’onda del dissenso, specie in Paesi dove il disagio e la mal sopportazione per le politiche di accoglienza ha raggiunto il fondo: Italia, prima di tutto, ma anche Germania, Francia, Ungheria.

Ora che lo stesso dossier svetta nell’agenda della Casa Bianca Donald Trump decide di seguire la causa di Bannon e punta il dito contro i governanti europei giudicati troppo lascivi sull’immigrazione clandestina. Che sia l’inizio di un riavvicinamento fra i due? È presto per dirlo. La lista di chi è stato sbattuto fuori dallo Studio Ovale è lunghissima e il presidente non ha mai mostrato segni di pentimento. Una cosa però è certa: Trump ci ha abituato a non dare mai nulla per scontato. Chissà che il demolitore Bannon non riesca a tornare, con il suo nuovo esercito europeo nel cuore, dentro alla più grande stanza dei bottoni al mondo.

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