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Le fake news via Whatsapp possono uccidere. Ecco cosa è successo in India

Sul sito della Bloomberg, Ian Marlow, firma un reportage shoccante (per tutti) dall’India: la diffusione isterica di fake news su WhatsApp ha già prodotto diversi morti nel Paese.

Le catene di sant’Antonio contenenti notizie false su rapitori di bambini e assassini hanno portato gli abitanti di alcuni villaggi rurali a unirsi in ronde, pattugliare armati le strade giorno e notte e prendere di mira chiunque non fosse riconosciuto (ovviamente, il target sugli stranieri). Risultato: processi sommari, linciaggi, uccisioni nell’Assam Orientale, nel Maharashtra, nel Tamil Nadu, gruppi di militanti indù che hanno preso di mira i musulmani, picchi di diffusione durante il periodo delle elezioni locali nel Karnataka.

Nella più classica delle derive di queste situazioni, le fake news diventano proxy per alimentare lo scontro etnico-razziale, e il momento in India è piuttosto delicato: il partito induista del primo ministro Nerendra Modi sta perdendo terreno contro l’opposizione che si sta compattando per creare un fronte unico. Nel 2019 ci saranno le elezioni, e il rischio che anche durante la campagna elettorale indiana la diffusione di informazioni false e alterate ad arte per creare divisioni, anche violente, è enorme.

Nota: l’India è il Paese con più utenti del servizio di messaggistica di Mountain View ora proprietà di Facebook; oltre 200 milioni di indiani usano WhatsApp per inviare 13,7 miliardi di messaggi al giorno, dati per comprendere su quale bacino, e con quale rapidità e potenza, certe veleni possano diffondersi.

L’articolo racconta anche la storia di una sovrintendente di polizia trentanovenne, Rema Rajeshwari il suo nome, che si sta occupando quotidianamente di combattere il fenomeno attraverso incontri pubblici nelle piazze dei villaggi della regione del Palamuru, area con tasso di alfabetizzazione intorno al 50 per cento (il 25% in meno della media nazionale), storie di violenza politica alle spalle, cinquemila chilometri quadrati in cui le credenze popolari – legate anche a sensibilità etniche – si diffondono esponenzialmente grazie a chi ha strumenti per accedere alle nuove dimensioni digitali (e ora, con gli smartphone economici in mano anche a chi non sa leggere e scrivere, bastano i video).

“Vedi questi messaggi, queste foto e questi video, ma non controlli se sono veri o falsi, li inoltri semplicemente”, dice Rajeshwari da un palco improvvisato. E ancora: “Non diffondere questi messaggi e quando gli stranieri vengono nel tuo villaggio, non prendere la legge nelle tue mani”. Rajeshwari fa un lavoro eccellente: nei 400 villaggi di cui è composto il suo distretto non ci sono state morti collegabili alle fake news su WA.

“Stiamo lavorando per dare alle persone un maggiore controllo sulle discussioni di gruppo e stiamo costantemente evolvendo i nostri strumenti per bloccare in automatico i contenuti indesiderati”, ha detto alla Bloomberg Carl Woog, aggiungendo che “nel periodo che precede le elezioni del prossimo anno intensificheremo i nostri sforzi educativi in ​​modo che le persone siano a conoscenza delle nostre caratteristiche di sicurezza e di come individuare notizie false e bufale”.

La questione è enorme, il caso dell’India racconta solo una storia preoccupante. Il riflesso sull’Italia: il video del troll seriale Gian Marco Saolini, che si è finto membro dell’equipaggio della nave ong “Aquarius”, ha fatto il giro degli smartphone degli italiani, per usare un esempio di attualità. Cittadini che anche grazie a quel finto racconto si sono convinti che il ministero dell’Interno ben faceva a non far sbarcare in Italia gli oltre seicento profughi che la nave trasportava, perché tanto dentro la nave “la gente è felice” e addirittura “c’è una sala dove si può giocare a videogame e giochi d’azzardo” diceva lui, Saolini, che interpretava i panni di un ex marinaio dell’equipaggio che era stato “fatto secco”, “eliminato e licenziato semplicemente perché volevo parlare, volevo dire la verità agli italiani” su come stavano le cose.

Saolini ha poi ammesso di aver inventato tutto, ma quando lo ha fatto era troppo tardi, il video rimbalzava (e, ahinoi, ancora rimbalza, ndr) ovunque con milioni di visualizzazioni; terribilmente di più dell’articolo della Stampa in cui il troll spiegava di essersi ispirato alle visioni del ministro leghista che dirige il Viminale e di aver detto “soltanto alla gente quello che la gente vuole credere” – “E ci crede, come si può vedere dal successo del video”, e come si vede dalle squadracce armate di bastoni che vanno in giro a regolare i conti con innocenti finiti al centro di fake story nelle province rurali indiane.

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