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Riforma Bcc, il governo fa sul serio e guarda al modello tedesco

Oltre gli annunci e gli spauracchi, il blocco della riforma del credito cooperativo annunciata dal premier Giuseppe Conte quasi un mese fa sta prendendo lentamente corpo e forma. Qualcuno dentro e fuori l’universo Bcc ha più volte pensato che si trattasse di una sparata post elettorale o poco più. Troppo ambiziosa l’idea di smontare di sana pianta una riforma, imposta alle Bcc a mezzo decreto nell’inverno del 2016 dall’allora governo Renzi, già in stato avanzato sulla tabella di marcia (i due poli aggregatori, Iccrea e Cassa centrale, hanno presentato i rispettivi progetti alla vigilanza Ue e sono in attesa di responso).

E invece no. Il governo va avanti per la sua strada, deciso a rivedere l’impianto, nonostante dal credito cooperativo (sul tavolo del ministro del’Economia, Giovanni Tria, c’è anche un altro dossier caldo, sempre in ottica cooperazione, per lo stop alla riforma delle popolari e la trasformazione in spa delle banche di Sondrio e Bari) fosse arrivata più di una preoccupazione per l’improvvisa volontà di rimescolare le carte in corso d’opera. La prova?

Sta nella parole del viceministro dell’Economia in quota Lega, Massimo Garavaglia, di risposta a un’interrogazione parlamentare targata Forza Italia con Sestino Giacomoni primo firmatario. Il numero due del Tesoro, in modo esplicito, ha confermato la volontà politica di smantellare parte della riforma renziana. Il governo “si richiama a quanto affermato dal presidente del Consiglio dei ministri in sede di replica prima del voto di fiducia alla Camera (il 6 giugno, qui l’articolo, ndr), circa l’opportunità di distinguere, soprattutto a livello territoriale, fra banche di credito e banche di investimento e quindi la necessità di definire una chiara differenziazione sul piano della disciplina normativa”, ha detto Garavaglia.

“Ciò si può conseguire lavorando su una revisione della riforma in atto, soprattutto per recuperare la tradizionale funzione del credito cooperativo nel rispetto del primario obiettivo di supportare in modo adeguato il tessuto produttivo delle piccole e medie imprese sul territorio”. L’obiettivo dell’esecutivo legastellato è chiaro d’altronde. Cavalcare il malcontento di molte Bcc, soprattutto le piccole, che mal  vedono una sottomissione alla direzione e al coordinamento di una capogruppo più grossa, con lesione della propria autonomia. Soprattutto sponda Lega, il partito tradizionalmente più legato alle piccole realtà locali e al concetto di indipendenza.

“Sono in atto una serie di riflessioni e i necessari approfondimenti tecnici per porre in essere le opportune iniziative al fine di dare attuazione a quanto preannunciato dal premier”, ha chiarito il viceministro. Certamente, il governo è conscio che fermare un processo messosi in moto due anni e mezzo or sono, non sarà una passeggiata, soprattutto perché bisognerà spiegare alla Bce e ai suoi funzionari, il motivo del dietrofront. Eppure questo sembra essere lo scenario.

Forza Italia da parte sua nell’interrogazione aveva sollecitato l’esecutivo pentastellato a esprimersi in tempi rapidi ed in modo chiaro sulle sue intenzioni circa il riassetto del credito cooperativo. A questo punto la domanda da porsi è, ma come intende intervenire il governo?

Idee precise al momento ancora non ce ne sono, anche perché lo stesso Tria deve pronunciarsi in merito, indicando le linee d’azione. L’ipotesi più credibile sembra essere l’adozione del modello tedesco per il credito cooperativo (che ruota intorno a Dz Bank), il cosiddetto Ips, che prevede l’adesione delle banche a un fondo comune e non a una capogruppo, come invece propone la riforma del 2016. E poi, il modello Ips permetterebbe alle banche di essere vigilate dalla Banca d’Italia e non dalla Bce, che peraltro non gode di grandi simpatie nell’attuale compagine governativa.

 

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