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Ok ai corridoi umanitari modello Sant’Egidio. Parola di Salvini (a Formiche)

“Ancora con questa storia del pugno di ferro sui diritti umani? Non so proprio perché continuano, ho pubblicato tutti i dettagli della nuova direttiva sul sito del Viminale”. Ci risponde così Matteo Salvini, tra l’incredulo e l’esausto, quando a villa Taverna, residenza dell’ambasciatore americano dove ha partecipato alle celebrazioni per il 4 luglio, gli facciamo notare che su Repubblica si legge di un “giro di vite brutale” del ministero dell’Interno sui permessi di soggiorno per motivi umanitari.

Nel mirino del quotidiano diretto da Mario Calabresi c’è una direttiva svelata in anteprima in cui il titolare del Viminale chiede a prefetti, membri della commissione d’asilo e presidenti delle sezioni territoriali di stringere sul rilascio dei permessi di soggiorno di due anni che spettano a chi viene riconosciuta la condizione di emergenza umanitaria. Donne e bambini in primis, dunque. Nella direttiva, ora pubblica sul sito del ministero, Salvini chiede ai Collegi “rigorosità dell’esame delle circostanze di vulnerabilità degne di tutela che, ovviamente, non possono essere riconducibili a mere e generiche condizioni di difficoltà”.

Salvini non ci sta e risponde a tono a chi lo accusa di fare il forte con i deboli. “Faremo tutto secondo le regole” ci spiega, “le donne incinte e i bambini non possono essere espulsi per legge, c’è stata una sentenza della Corte di Cassazione anni fa e abbiamo intenzione di rispettarla”. Poi dà qualche numero: “In questi anni il governo ha scialato troppo, solo nell’ultimo anno questi permessi sono stati dati al 30% degli immigrati, ma solo il 7% ha lo status di rifugiato, così non possiamo continuare”. Nulla da obiettare sui dati, che provengono dalle statistiche del Viminale. Peccato però che con la politica dei porti chiusi e dei respingimenti indiscriminati in mare parlare di status di rifugiato è poco più che velleitario.

“Ci stiamo lavorando, faremo mettere direttamente in Niger, Mali e Chad centri di identificazione per i rifugiati che hanno diritto d’asilo” risponde il vicepremier. Che azzarda una promessa solenne: “Chi si vedrà riconosciuto lo status di rifugiato potrà venire in Europa con i corridoi umanitari sul modello della Comunità di Sant’Egidio, con un aereo, senza rischiare la vita in mare”. Certo, l’esperimento è affascinante e ha già dato qualche frutto, ma i numeri al momento rimangono poca cosa rispetto alla mole di migranti stazionata nel Nord Africa e pronta a intraprendere il “viaggio della speranza”. “È vero, l’ultimo arrivo è di soli 140 profughi, ma quella dei corridoi umanitari mi sembra una buona soluzione e spero che questi numeri aumentino nei prossimi mesi”.

Difficile che l’argomento divenga oggetto di conversazione con il collega tedesco Horst Seehofer. Salvini lo incontrerà mercoledì prossimo durante il Consiglio degli Interi a Innsbruck. D’altronde ci sono dossier prioritari con il governo d’oltralpe. La questione libica, ad esempio, ma anche e soprattutto il respingimento alla frontiera tedesca dei migranti che hanno fatto richiesta di asilo in Italia. Seehofer sembra aver ritrovato una sintonia con la cancelliera Angela Merkel (almeno su questo) e minaccia una rigida applicazione dei criteri di Dublino. “Stiamo ancora lavorando sui contenuti, non posso anticipare altro. So solo che lo vedrò mercoledì sera prima del summit assieme al collega austriaco” si limita a rispondere Salvini ai nostri microfoni.

Non è stato facile intercettare il ministro dell’Interno durante le celebrazioni per l’Independence Day. Dopo un caloroso abbraccio con l’ambasciatore Lewis Eisenberg e un veloce botta e risposta con i giornalisti per lui non c’è stata pace. Inutile qualsiasi tentativo di addentare un hamburger e scambiare qualche parola con i molti colleghi leghisti presenti alla festa, da Armando Siri a Giancarlo Giorgetti fino a Guglielmo Picchi, Gian Marco Centinaio e Lorenzo Fontana. Una folla adorante si è messa pazientemente in fila dal primo all’ultimo minuto per omaggiare il leader del Carroccio, chi per un selfie, chi per sussurrargli all’orecchio “tenga duro”. Un piccolo aneddoto che però dice molto degli equilibri del governo gialloverde e dovrebbe far suonare un campanello d’allarme fra i pentastellati. Anche fra gli ospiti dell’ambasciata, nel bene o nel male, la scena è tutta di Matteo Salvini. E pensare che il governo era quasi al completo. Pezzi da 90 dell’esecutivo, non solo sulla carta, come il ministro del Lavoro e dello Sviluppo Economico Luigi Di Maio o il ministro dell’Economia Giovanni Tria, sono accorsi a festeggiare con l’ambasciatore. Nessuno però ha subito l’assalto della folla come il ministro dell’Interno.

A pochi metri dal tavolo di Salvini invece qualcuno ha preferito infischiarsene dei convenevoli. Seduto di spalle, assorto fra un bicchiere di prosecco, i fuochi d’artificio e un sigaro toscano, Umberto Bossi ha fatto finta di non vedere il segretario, e viceversa. I fotografi hanno sperato fino all’ultimo di poter scattare una foto con il passato e il presente della Lega spalla a spalla. Una foto da copertina, ovviamente, dopo la sentenza della Cassazione che ordina il sequestro dei fondi del Carroccio. Niente da fare. Il Senatur non ha degnato di uno sguardo il giovane e spericolato leader che ha cambiato per sempre il volto del suo partito.

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