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Riforma delle relazioni sindacali nella sanità. La proposta di Cimo

Di Guido Quici
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Il voler fare seriamente sindacato comporta la capacità di formulare proposte concrete per affrontare nodi e malfunzionamenti del proprio settore, anche a costo di essere voci fuori dal coro o “disruptive”. O, perlomeno, di stimolare un sano dibattito intorno alle possibili soluzioni ai problemi della propria categoria con l’obiettivo di migliorare il sistema per tutti gli attori/stakeholder coinvolti. È quanto sentiamo il dovere di fare come sindacato dei medici Cimo in merito all’ormai imbarazzante impasse al tavolo contrattuale della dirigenza medica sanitaria (un rinnovo atteso da nove anni) e, più in generale, sui temi cruciali della rappresentanza, rappresentatività e diritti sindacali nell’area della sanità.

Andiamo con ordine, facendo le dovute premesse anche per i non addetti ai lavori. L’attuale scenario vede oggi il medico dipendente avere almeno tre “padroni” o controparti: la Funzione Pubblica, le Regioni e il ministero della Salute. Per ogni questione contrattuale, relativa al personale sanitario della dipendenza pubblica, il dialogo deve passare attraverso l’agenzia Aran, organo della Funzione Pubblica che svolge il compito di intermediazione contrattuale per tutta la platea della Pa, dai dirigenti dei ministeri agli enti locali, alla scuola, eccetera. Diversamente, i medici convenzionati, ovvero i medici di medicina generale, i pediatri di libera scelta e gli specialisti ambulatoriali, hanno come controparte di interlocuzione solo le Regioni, attraverso l’agenzia Sisac per le questioni contrattuali.

Per tutti, il minimo comune denominatore è rappresentato dal ministero della Salute che tiene le redini di provvedimenti importanti come il Patto per la Salute, la definizione dei Lea (Livelli essenziali di assistenza), gli standard, il piano delle cronicità, le linee guida e gli atti da cui discendono assetti organizzativi della sanità in ciascuna Regione, cui è affidata la gestione della spesa sanitaria, stipendi inclusi e, soprattutto, l’organizzazione del lavoro di tutto il personale sanitario, medici dipendenti e convenzionati compresi.

Eppure ci troviamo di fronte a due mondi che fanno lo stesso lavoro, che vivono vite parallele ma con contratti di lavoro molto diversi tra loro dove i medici della dipendenza, invece di parlare con il ministero della Salute e le Regioni, devono attendere la preliminare intermediazione della Funzione Pubblica. Tanto è sufficiente a far mancare un vero interlocutore diretto ed a far prevalere l’attuale gioco del “logoramento” che allunga, ad oltranza, i tempi di ogni trattativa. Il malfunzionamento di una governance di questo tipo è oggi quanto mai evidente con la questione del rinnovo contrattuale per i medici ospedalieri ancora in stallo all’Aran sul nodo delle risorse economiche, da parte delle Regioni, e normative, da parte della Funzione Pubblica, anche a causa delle difficoltà applicative delle norme generali della Pa alle specificità del mondo sanitario e medico in particolare.

In un sistema che tende verso una sempre maggiore complementarietà e integrazione tra ospedale e territorio non sarebbe più agile e sensato avere gli stessi interlocutori istituzionali con un’unica controparte per le trattative sindacali?

Come Cimo abbiamo avvertito, quindi, la necessità di proporre una nuova governance del sistema di relazioni sindacali cui affidare una vera azione di intermediazione tra gli obiettivi di politica sanitaria sia nazionale che regionale e le legittime aspettative contrattuali del personale.

Noi riteniamo che debba essere affrontato questo problema riportando chi lavora nel SSN direttamente sotto il controllo del ministero per la Salute, in primis, e delle stesse Regioni relativamente a tutti gli aspetti contrattuali presenti nel nostro ordinamento. Proponiamo che vi debba essere una sola – anche nuova – agenzia quale comune controparte per le trattative contrattuali di tutti i medici, ovviamente con contratti di lavoro diversificati tra medici dipendenti e medici della convenzione. Immaginiamo, inoltre, per alcuni istituti normativi contrattuali il riconoscimento del “fil rouge” comune che lega alcuni aspetti e che davvero avvicini le due anime della medicina dipendente e di quella convenzionata nell’ottica di una vera integrazione tra ospedale e territorio. È il caso di capitoli come la rappresentanza sindacale, le sanzioni disciplinari e alcuni aspetti organizzativi trasversali del governo delle attività cliniche volti alla concreta integrazione del modello di ospedale-territorio, che potrebbero appunto essere trattati con un approccio negoziale condiviso.

A questo primo elemento di ottimizzazione della governance si aggiungerebbe un secondo risultato. Il nostro sistema legislativo sembra ignorare un’evidenza: la Sanità è un sistema altamente complesso in cui il tasso di professionalizzazione di chi vi opera è molto elevato. Un medico fa continuamente fronte a situazioni spesso non standardizzabili, talvolta in condizioni di emergenza e urgenza; deve prendere decisioni, fare scelte per le cure, esercitare autonomia e responsabilità diretta di intervento, avere un’alta competenza specifica, concentrarsi sulla relazione con i pazienti e garantirne la sicurezza delle cure.

Nell’attività di un medico la componente professionale è dunque preponderante rispetto a quella gestionale, mentre quest’ultimo aspetto è invece prevalente nella valutazione delle attività di gran parte degli altri dipendenti pubblici. Solo questo basta a richiedere che il modo di lavorare dei medici e del personale sanitario debba avere contratti finalizzati alla specificità del settore, diversi da quelli di un dirigente del ministero, degli enti locali o di altre amministrazioni.

In sintesi, la proposta di nuova organizzazione – unica agenzia, semplificazione e diretta dipendenza del personale del Ssn da ministero della Salute e Regioni, parziale condivisione della negoziazione tra medici dipendenti e convenzionati, contratti specifici nella Pa per i medici – porterebbe a benefici economici legati alla riduzione dei tempi di realizzazione dei contratti di lavoro e degli stessi costi legati alle strutture intermedie, oltre che di maggiore trasparenza tra gli stakeholder. Soprattutto, si otterrebbero vantaggi concreti “di ritorno” per la professione e il lavoro dei sanitari, con effetti più vicini ai bisogni di sostenibilità del Ssn.

La necessità di un cambio di governance nella rappresentanza e rappresentatività è un’esigenza reale e indifferibile che assume una portata ben più ampia nell’essere una concreta occasione di aggiornamento, neanche troppo traumatico e complesso, di un meccanismo di rappresentanza evidentemente datato e poco efficace, con il fine ulteriore di aprire le porte a integrazioni possibili tra i vari “silos” del settore sanitario.

Ci auguriamo, come Cimo, che la nostra iniziativa possa rappresentare un vero stimolo per una più ampia discussione che veda coinvolte, oltre alle istituzioni, le altre organizzazioni sindacali della dipendenza e della convenzionata e, soprattutto, della Fnomceoin preparazione degli Stati Generali della professione medica.

Sono convinto che il futuro delle relazioni sindacali deve partire da soluzioni come queste, agili ed efficienti, in grado di mettere a fuoco i valori dell’equità e del rispetto di quel fattore primario che sono le competenze professionali, i cui benefici ricadrebbero direttamente sui bisogni di salute dei cittadini.



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