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Stati Uniti e Europa fanno pace. Non ci sarà la guerra commerciale

tregua Usa

Le tariffe commerciali sono state in cima all’agenda nell’incontro tra il Presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker (presente anche il commissario al Commercio dell’Ue, Cecilia Malmström e alcuni alti funzionari dell’amministrazione americana).

“Gli Stati Uniti e l’Unione europea hanno un rapporto commerciale bilaterale da un trilione di miliardi, il più grande rapporto economico al mondo. Vogliamo rafforzare ulteriormente questo rapporto commerciale a beneficio di tutti i cittadini americani ed europei”, è stato il commento programmatico Trump.

Nella conferenza congiunta a margine dell’incontro, Trump e Juncker hanno detto di aver trovato un accordo sulle controversie commerciali che hanno diviso Ue e Usa. L’americano ha annunciato di voler intraprendere una strada per tornare all’armonia con gli alleati storici del blocco occidentale; l’europeo ha dichiarato che non ci saranno nuovi dazi e le tariffazioni in studio saranno sospese. Entrambi si sono dichiarati pronti a lavorare per risolvere le asperità legate all’imposizione di dazi doganali reciproci decisa a giugno.

“Questo aprirà i mercati per gli agricoltori e lavoratori [americani], aumenterà gli investimenti, e porterà a una maggiore prosperità per gli Stati Uniti e l’Ue. Renderà anche il commercio più reciproco”, ha detto il Presidente americano.

Trump ha specificato che l’accordo raggiunto con l’Europa prevede anche l’aumento dell’importazione di Lng, gas naturale liquefatto americano, nel Vecchio continente: si tratta di una questione strategica molto importante, perché per il momento i Paesi europei hanno linee di approvvigionamento diverse, con il gas che viene dal Nord Africa, dall’Azerbaijan (è il caso dell’Italia, in parte) e dalla Russia, che sta spingendo la realizzazione del gasdotto Nord Stream 2 che dovrebbe tagliare il Baltico e sfociare in Germania – opera molto osteggiata dagli Stati Uniti per questioni di sicurezza ed economiche.

Trump ha detto che “è stato un grande giorno, è iniziata una nuova fase nelle relazioni tra Stati Uniti e Unione Europea, una fase di stretta amicizia”, anche se la contropartita ottenuta da Trump sulla vendita di Lng non trova una giusta competitività di mercato: come spiegato dagli analisti, ancora la differenza di costo tra quello spedito dagli Stati Uniti e quello convogliato è ancora alta, e dunque la questione è ancora da sviluppare. Juncker, invece, davanti ai giornalisti, ha spiegato che il suo viaggio aveva l’obiettivo di chiudere un qualche genere di accordo, ed era molto soddisfatto per averlo raggiunto.

L’europeo era volato a Washington con la speranza di evitare una guerra commerciale a tutto campo tra Europa e Stati Uniti, l’Occidente ora diviso a causa delle politiche America First di Trump – Juncker lo ha ammesso chiaramente in conferenza stampa: “Quando sono stato invitato da Potus (President of the United States, ndr) alla Casa Bianca, ho avuto una intenzione: ho avuto l’intenzione di fare un accordo oggi, e abbiamo fatto un accordo oggi. Abbiamo identificato un certo numero di settori su cui lavorare insieme” e lo abbiamo chiuso, ha detto. L’obiettivo principale e a corto termine del lussemburghese era bloccare tariffe punitive sulle auto europee, che avrebbero toccato un settore ancora più delicato (e di primario interesse tedesco) di quelle già attive su acciaio e alluminio; pare sia riuscito nel suo obiettivo, ma c’è sempre l’imprevedibilità dell’americano da tenere a mente.

Il capo della Commissione europea è arrivato a Washington con un’offerta che teneva in prima considerazione una questione quasi psico-emotiva del presidente: la fissazione di Trump sul surplus automobilistico tedesco (le auto americane in Europa tirano pochissimo, l’opposto per quel che succede per le europee made in Germany negli Stati Uniti, che sono il primo mercato estero di Bmw, Mercedes, Porsche, Audi e Ferrari). Su questo ha giocato le sue due offerte: creare un accordo di libero scambio limitato tra Stati Uniti e UE sui beni industriali (una specie di mini Ttip). In cambio, l’amministrazione Trump ha accettato di smetterla con i dazi – che Trump inquadra come questione di sicurezza nazionale per agire in via più diretta quando decide di imporre nuove tariffazioni.

Un esito positivo era tutt’altro che previsto. Trump ha affrontato l’incontro con pessimismo: nei giorni scorsi, parlando davanti alla platea dell’associazione Veterans of Foreign Wars, aveva calcato ancora sullo sbilancio commerciale da 151 miliardi di dollari sofferto lo scorso anno dagli Usa sull’import-export con l’UE. Stanno facendo una cosa “cattiva”, diceva, semplificando come al solito la scelta semantica e il tono comunicativo: “Quando loro (Juncker e il suo gruppo di contatto, ndr) verranno da me alla Casa Bianca, gli dirò ‘dovete cambiare’; non cambiate, ok!, allora alzeremo tariffe sulle vostre macchine: Mercedes, Bmw, tutte, molte macchine”. “Quando ve la smetterete?”, chiosa finale del presidente prima di salutare la platea con un “Gente, restate con noi!” (passaggio sapientemente ripreso dalla governativa russa Ruptly, che non perde occasione per sottolineare situazioni che possono inserirsi nel solco di disarticolazione dei rapporti tra Europa e America).

Prima il presidente aveva affidato il suo scetticismo, e la sua tecnica di negoziazione aggressiva, a Twitter: se l’Ue deciderà di smetterla con le pratiche scorrette “sarebbe finalmente chiamato mercato libero e commercio equo e solidale!”. “Spero che lo facciano, siamo pronti, ma non lo faranno!”: Trump si era lamentato di nuovo che il mondo usa gli Stati Uniti come un “salvadanaio” dove a tutti piace attingere.

Insomma, pessime premesse. D’altronde da di qua dell’oceano aveva parlato il ministro degli Esteri tedesco, Heiko Maas, annunciando che l’Europa non si sarebbe lasciata intimidire dalle minacce di Trump. “Nessuno ha interesse ad avere tariffe punitive, perché alla fine tutti perdono”, scriveva su Twitter: “L’Europa non sarà minacciata dal presidente Trump. Se cederemo una volta, dovremo spesso fare i conti con questo comportamento in futuro”.

Il tema commerciale però è uno di quelli in cui la discrepanza tra il cosiddetto establishment (i leader politici, quelli del mondo economico, nel caso) e la base elettorale che caratterizza la politica attuale – in questo caso negli Stati Uniti, ma non solo – non è molto sentita. È un argomento interessante, perché proietta la situazione Trump-Ue sullo scenario interno, la corsa alle Midterms, e i due temi non sono svincolati: cause-effetti collegabili sui comportamenti del Prez, con ripercussioni fuori dagli States per cercare ricadute interne. Forse anche per questo ha preferito alzare il piede dall’acceleratore.

Per esempio, lo speaker repubblicano della Camera Paul Ryan, martedì ha detto ai giornalisti che non vedeva “la via tariffaria come la strada più intelligente da percorrere”; mentre Trump tuonava contro i “politici deboli” che non ingaggiano il confronto (nel caso commerciale, ma il senso era generico) e uno dei leader del Partito repubblicano cercava di calmare la situazione, un sondaggio condotto da Wall Street Journal e CNBC squadernava che oltre il 49 per cento degli americani è preoccupato che lo scontro commerciale comporti un aumento dei prezzi (un esempio di altro genere: la più grossa fabbrica del mondo della Bmw si trova in South Carolina, dove Trump ha vinto nel 2016 con il 54 per cento; a fine giugno la ditta tedesca ha scritto una lettera al segretario al Commercio in cui spiegava che aumentare le tassazioni sulle automobili avrebbe portato come conseguenza il licenziamento di migliaia di lavoratori).

Anche per questo, il giorno prima dell’incontro, l’amministrazione aveva fatto sapere la volontà di sostenere con un pacchetto da 12 miliardi il settore agricolo colpito dalle contro-tariffe europee (e cinesi). La costruzione di un capitale politico su questo argomento è delicata: il motto America First in queste situazione segue una strada pericolosa, perché rischia di scontrarsi con il paniere quotidiano di molti cittadini. La svolta con l’Ue sarà accuratamente venduta come una soluzione profonda nell’interesse americano, anche se è una negoziazione da cui Bruxelles esce tutt’altro che sconfitto.

(Foto Twitter)

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