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Task force con Di Maio e missione di Tria. Così Roma guarda a Pechino

manovra fiscal compact

Il governo italiano sta lanciando la missione cinese: nei prossimi giorni, dal 28 agosto al 2 settembre, il sottosegretario allo Sviluppo, Michele Geraci, sarà in Cina, e in una visita separata, ma sincrona, sarà a Pechino anche il ministro dell’Economia, Giovanni Tria.

Roma intende avere con i cinesi un “approccio sistemico”, dicono fonti del governo, e per questo il lavoro viaggerà su due binari. Da una parte Geraci cercherà di magnetizzare investimenti in Italia, per esempio (e soprattutto) sul settore delle infrastrutture, dall’altra Tria proverà a coinvolgere la Cina nell’acquisto di buoni del Tesoro.

Il Mise ha lanciato una Task Force Cina, perché, scrive il sottosegretario nella sua pagina Facebook, “è giunto il momento per l’Italia di cavalcare l’onda cinese, invece di lasciarci travolgere da essa”. Geraci, che vive da un decennio a Shanghai (in Cina ha insegnato Finanza in tre università), sarà l’apice del coordinamento del meccanismo operativo creato dal suo ministero: il sottosegretario ha spiegato in un’intervista al Corriere della Sera, che l’obiettivo del suo viaggio è ottenere aumenti di capitale in situazioni italiane, attraverso l’iniezione di soldi dalla Cina.

Roma vuole fare in modo che l’Italia diventi partner privilegiato in progetti strategici come Obor (acronimo inglese della Nuova Via della seta, il grande progetto geopolitico con cui il presidente cinese Xi Jinping intende creare connessioni fisiche, attraverso infrastrutture, tra Cina e dozzine di Paesi al fine di facilitare gli scambi commerciali). Si parla per esempio del porto di Trieste, considerato da Pechino un attraente sbocco (ottimamente collegato, transfrontaliero, e dal valore internazionale) in cui la componente marittima e quella terrestre della rotta Obor possano trovare congiunzione e aprire le porte europee al commercio cinese.

Il capoluogo friulano sarà quasi sicuramente al centro delle discussioni italiane in Cina: i cinesi potrebbero voler entrare nel porto per ampliarlo, ma certamente chiederanno qualcosa in cambio. Uno schema già visto nel Pireo, contro cui ci sono anche preoccupazioni per questa forma di colonizzazione o di ricatto. Ad aprile, tutti gli ambasciatori dei paesi Ue a Pechino hanno firmato un documento chiedendo a Bruxelles di fare attenzione all’ingresso cinese in asset strategici europei, considerando Obor un meccanismo “contrario all’agenda dell’Ue per la liberalizzazione del commercio e [che] spinge gli equilibri di potere a favore delle società cinesi sovvenzionate [dallo stato]” (solo l’ambasciatore ungherese non aveva firmato il report).

Le rotte commerciali create da Obor vanno di pari passo con un altro grande progetto di Xi, il Made in China 2025. La Cina è un gigante economico che ha però dipendenze straniere per quanto riguarda alcuni elementi di alta tecnologia: il caso di Zte, importantissimo produttore di sistemi mobile (e reti), è stato emblematico. Quando gli Stati Uniti hanno deciso di impedire alle ditte americane di vendere tecnologia chiave alla ditta cinese, misura sanzionatoria legata ad attività commerciali che Zte aveva tenuto con Corea del Nord e Iran, il contraccolpo è stato pesante. La Zte è rimasta paralizzata, al punto che è stato Donald Trump a cercare di rimediare per edulcorare una misura presa dalla sua stessa amministrazione. Pechino s’è resa conto da tempo di non poter andare più avanti così, e per questo il presidente cinese sta investendo enormi fondi sull’acquisizione di capacità e conoscenze per diventare indipendenti sulla maggior gamma di produzioni (tecnologiche) entro il 2025. La missione italiana cercherà spazi anche su questo campo.

Il ruolo di Tria sarà invece diverso: il ministro cercherà, accompagnato dal vice direttore generale della Banca d’Italia e da altri alti funzionari operativi, di trovare in Pechino il sostituto al Quantitative Easing che la Bce bloccherà da dicembre. Ossia, trovare qualcuno che diventi il principale acquirente di titoli di Stato italiani.

I Btp hanno rendimenti più alti di prodotti simili di altri paesi per via dell’instabilità politico-economica italiana, ma potrebbe essere proprio questo a interessare i cinesi. Previste riunioni con il ministro delle finanze cinese, con i vertici della banca sovrana e quelli delle principali banche locali. Possibile che in questa missione delicata (che interessa in un certo senso il finanziamento dell’Italia) Tria possa trovare qualche difficoltà in più anche perché il governo che andrà a rappresentare, dopo il crollo del ponte di Genova, ha aperto un contenzioso con Autostrade Spa, società di cui il 5 per cento è controllato proprio dal Silk and Road Fund – il maxi fondo che il governo cinese ha costruito per sostenere Obor.

In tutto questo, le attività cinesi dell’Italia, volte – come spiega il comunicato con cui il Mise ha lanciato la sua Task Force – a “evitare di restare a guardare passivamente l’asse mondiale spostarsi verso est”, si portano dietro un ulteriore rischio di natura politica internazionale. Il premier Giuseppe Conte è tornato dalla visita alla Casa Bianca di qualche settimana fa pieno di entusiasmo per il feeling politico-personale creato con Trump, che però guida un’amministrazione che ha inquadrato la Cina come una potenza rivale da contrastare a livello globale. Sarà possibile per Roma abbinare quella relazione speciale creata con Trump con la volontà di seguire l’asse mondiale verso est?


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