La lira turca crolla a nuovi minimi storici, con i mercati che reagiscono male. L’iper-deficit che il Presidente turco Erdogan ha portato avanti da anni e le influenze sulla banca centrale turca con mire macroregionali (più che dettate dalla logica dei conti) sono alla base del possibile crack. Francoforte è in allarme per le evoluzioni del caso turco, con l’intreccio di Unicredit che inquieta anche Roma.
QUI ANKARA
La vigilanza della Bce è in allerta. La Turchia sta procedendo con il piglio di chi continua a immettere nel sistema soldi di provenienza pubblica senza farsi due conti: grandi investimenti in lavori pubblici, bonus alle pmi, esposizione con le banche del golfo non più inclini a prestiti a fondo perduto. I crediti deteriorati sono al 3% ma secondo Moody’s, il trend è da considerarsi in pericolosa ascesa.
Getta acqua sul fuoco il ministro delle Finanze Berat Albairach, genero di Erdogan, secondo cui al 2020 l’inflazione verrà dimezzata aggiungendo che le banche sono sane in virtù di un surplus di capitale. Ma il Presidente mette all’indice i nemici che sono dietro il caso Gulen, parlando di generiche “campagne” contro Ankara e osserva: “Ci sono diverse campagne in corso, non prestate loro alcuna attenzione – ha detto dalla Reuters – Non dimenticate questo: se loro hanno i dollari, noi abbiamo la nostra gente, il nostro diritto, il nostro Allah”.
I CONTI
La lira perde il 13,5% sul dollaro: lo riporta Bloomberg e tocca un altro minimo record a 6,24 contro il dollaro. Le passività in valuta delle società ammontano a 337 miliardi di dollari con un deficit di 217,3 miliardi netti. Non stanno meglio le banche: i costi di finanziamento risultano più alti perché il debito di quasi 100 miliardi di dollari si prevede che vada a scadenza entro 12 mesi.
Da tempo analisti di vari paesi hanno messo l’accento sul fatto che il potere politico si è mescolato torbidamente con la Banca centrale, che quindi non ha calmierato i prezzi esponendo i conti del paese ad una fase di alto rischio. Sul punto è intervenuto anche il Financial Times con una lunga considerazione toccando anche le esposizioni delle banche straniere: le spagnole sono esposte per oltre 83 miliardi di dollari, le francesi per 38, le italiane per 17 miliardi.
CASO UNICREDIT
Due miliardi e mezzo di euro è l’ammontare dell’investimento fatto da Unicredit per inglobare il 40,9% di Yapi Kredi, società che dopo il crollo della lira è precipitata ad un valore complessivo di 1,15 miliardi. Oggi i responsabili replicano chiamando in causa le riserve proprie che potrebbero fare da ammortizzatore finanziario, ma i dubbi restano.
La debolezza dei listini è sotto gli occhi di tutti: Tokyo perde l’1,33%, Milano perde l’1,3%, Parigi l’1%, Londra lo 0,6% e Francoforte l’1,3%. Il Dow Jones ha perso lo 0,29% mentre Istanbul torna pari.
Soffre anche la moneta unica temendo un contagio alle banche: l’euro va ai minimi dal luglio 2017, segnando 1,1432 contro il dollaro da 1,1527 di ieri prima di recuperare parzialmente.
REAZIONI
Il crollo non è limitato alla lira, ma coinvolge anche le obbligazioni. Per questa ragione i supervisori della Bce sono in allerta per via delle alte esposizioni del paese come Bnp Paribas e appunto Unicredit. Le prime conseguenze del forte calo potrebbero incidere sui mutuatari turchi che non avrebbero più una copertura adeguata con il rischio “Grecia”, ovvero con il moltiplicarsi dei prestiti rossi che non vengono restituiti. Deutsche Bank, la spagnola Bbva, l’italiana Unicredit e la francese Bnp Paribas hanno perso ciascuno più del 3%.
A seguito del referendum costituzionale nel 2017, Erdogan ha acquisito un enorme potere e una maggiore influenza sulla banca centrale, senza dimenticare i riverberi della disputa con gli Stati Uniti sul pastore statunitense Andrew Brunson, che è stato arrestato in Turchia.
Cosa servirebbe come primo passo? In primis una presa di coscienza da parte di Erdogan circa le reazioni dei mercati finanziari. In caso contrario si paventerebbe sul paese l’ombra del capital control, così come fatto in Grecia per via della crisi economica.
Da segnalare anche un tweet “di merito” da parte del Presidente americano Donald Trump, che annuncia di aver autorizzato un raddoppio delle tariffe su acciaio e alluminio rispetto alla Turchia, “poiché la loro valuta, la lira turca, scivola rapidamente verso il basso contro il nostro molto forte dollaro”.
E infine: “I nostri rapporti con la Turchia non sono buoni in questo momento”.
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