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Downgrade o no, ora il governo anticipi la manovra. O saranno guai

Con oggi, ultimo giorno della settimana lavorativa e del mese di agosto, non finiscono soltanto le vacanze 2018 degli italiani ma anche la “luna di miele” del governo Lega-M5S.
Finisce cioè la fase di entusiasmo post elettorale e si entra nel duro confronto autunnale, tutto giocato sui conti di finanza pubblica e sul programma economico dell’esecutivo guidato dal prof. Conte.
A spiegarci con i numeri la complessità della situazione saranno vari soggetti, a cominciare dalle agenzie di rating (è atteso per stasera un primo giudizio da Fitch), che ci aiuteranno non poco a rimetterci tutti quanti (governanti in primis) con i piedi per terra.

Già, perché logica vuole che si vada verso una revisione in negativo della valutazione sull’Italia, non fosse altro per il fatto che si deve tenere conto di quanto è già accaduto, il che dal nostro punto di vista significa aumento del costo finanziario per collocare i titoli del debito pubblico, perdita del valore complessivo dei medesimi per chi intende scambiarli una volta acquistati e ribasso della crescita prevista del Pil, con inevitabili conseguenze sui conti pubblici e sul rapporto con Bruxelles.

Insomma il possibile o probabile downgrading dell’Italia (che tanto vorremmo non accadesse, fino a spingerci a desiderare di sbagliare la previsione), suonerà come gong decisivo per passare, piaccia o no, alla fase due del governo.

E qui veniamo alla parte più complessa e meno prosaica della vicenda, che sconta due premesse.
La prima è che il governo è nuovo e in larga misura composto da persone che si misurano per la prima volta con incarichi ministeriali, anche nei ruoli di maggior peso (Interni, Economia, Giustizia, Sviluppo Economico, Difesa) e la seconda è che il poderoso successo elettorale di Lega e M5S induce i due movimenti a sostenere progetti ambiziosi e di forte rottura con il passato su molti fronti.

Ebbene tutto ciò da stasera smette di essere libro dei sogni per diventare (il più rapidamente possibile) disegni di legge, numeri, tabelle.

Il governo insomma è chiamato a fare uno sforzo enorme ma necessario, quello cioè di dire chiaramente cosa vuole, di prevedere esplicitamente come intende farlo (con quali risorse e in quali tempi) e con tali progetti presentarsi ai mercati, alla comunità internazionale ed all’Unione Europea.

Non è cioè più sostenibile l’andazzo di queste settimane in cui si dice (spesso, troppo spesso) un po’ tutto e il contrario di tutto, per cui Ilva chiude anzi no, per cui alla Tav si rinuncia anzi no, Tap si fa anzi no e così via con incertezze varie su Alitalia, pensioni, Flat Tax, reddito di cittadinanza, legge Fornero, assunzioni nel pubblico impiego, nazionalizzazioni a vario titolo e mutabile dimensione e così via, in un crescendo rossiniano che è quanto di più pericoloso verso i mercati, che detestano instabilità e incertezza.

Lo sanno bene il prof. Tria e il prof. Savona, non a caso nei ruoli chiave di questa fase, così come dovrebbero averlo compreso anche il premier Conte e i due “azionisti” del governo, cioè Di Maio e Salvini.

Si vada dunque il più rapidamente possibile alla definizione della manovra, anticipando le scadenze per dare certezze agli osservatori, questa è la risposta che il governo deve mettere in campo nelle prossime ore.

E sia ben chiaro un punto: se l’esecutivo non lo farà la sanzione non sarà politica (le urne sono lontane) ma arriverà dritta al portafoglio di tutti gli italiani.



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