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Tap, perché l’Italia può contare di più in Europa (con l’appoggio di Trump). L’opinione di Péruzy

Di Andrea Péruzy

L’incontro a Washington tra il presidente degli Stati Uniti, Donald Trump, e il primo ministro italiano, Giuseppe Conte, offre occasione per ricordare che sebbene l’energia non occupi spesso le prime pagine dei giornali con riferimento al dibattito europeo, è un pilastro fondante dell’Unione, su cui si gioca la partita della futura integrazione o disgregazione dell’Unione dell’Europa.

Durante il vertice, il presidente Trump ha auspicato la realizzazione del gasdotto Tap (Trans-Adriatic Pipeline) che, partendo dalla frontiera greco-turca e attraversando Grecia e Albania, dovrebbe permettere all’Italia di approvvigionare gas naturale proveniente dall’Azerbaijan. L’infrastruttura permetterà di importare circa 10 miliardi di metri cubi di gas naturale all’anno, pari a circa 1/6 del fabbisogno italiano, e di ridurre la dipendenza del nostro Paese dalla Russia la quale oggi soddisfa circa il 41% delle nostre importazioni di gas naturale.

Sebbene il tema sia stato sollevato nell’ambito del bilaterale Italia-Stati Uniti e sebbene sia in Italia, dove approderà l’infrastruttura, che si registra la maggiore dialettica sull’opera, occorre ricordare che il Tap non è una questione solo italiana. È anche una questione europea che permette di cogliere l’importanza del nostro Paese nell’ambito della realizzazione dell’Unione dell’energia.

Il Tap è infatti stato dichiarato progetto di interesse comune, dalla Commissione Europea. Ossia una infrastruttura la cui realizzazione può avere un impatto significativo sull’integrazione dei mercati di almeno due Stati membri, favorire la concorrenza nei mercati e promuovere la sicurezza energetica dell’Unione Europea attraverso la diversificazione delle fonti energetiche, e contribuire al raggiungimento degli obiettivi europei clima-energia attraverso l’integrazione delle fonti rinnovabili.

Tutti temi, questi, anche nell’agenda del Consiglio Stati Uniti-Europa sull’energia, il programma di cooperazione tra i due Paesi che pone al centro la sicurezza energetica globale attraverso lo sviluppo di mercati competitivi e la diversificazione delle fonti di approvvigionamento. Un aspetto, quest’ultimo, certamente importante per gli Stati Uniti che vedono nell’esportazione di gas liquefatto legata al boom dello shale gas una opportunità di sviluppo del proprio settore energetico.

Inoltre, la diversificazione delle fonti di approvvigionamento è legata anche alla integrazione delle fonti rinnovabili, altro obiettivo che l’Europa riconosce di potere raggiungere attraverso i progetti di comune Interesse come il Tap. L’integrazione delle fonti rinnovabili non può, infatti, prescindere dalla disponibilità di capacità di generazione flessibile, come quella degli impianti alimentati a gas naturale, per assicurare il bilanciamento di domanda e offerta di energia elettrica a fronte della inarrestabile crescita di produzione elettrica da fonti intermittenti come sole e vento.

Uno scenario destinato a diventare ancora più sfidante qualora la Commissione Europea dovesse decidere, come dichiarato ieri dal Commissario Europeo all’Energia, Miguel Arias Cañete, di incrementare al 45% la percentuale di riduzione delle emissioni di CO2 al 2030 rispetto ai livelli del 1995. Un target ambizioso per cui lo stesso Cañete ha evidenziato il ruolo fondamentale della generazione rinnovabile che dovrebbe contare per circa la metà della riduzione delle emissioni auspicata.

Se questo target sarà adottato formalmente, l’Europa sarà la prima grande economia a rendere più ambizioso il contributo alla lotta al cambiamento climatico nell’ambito del framework delle Nazioni Unite. L’Italia potrebbe quindi essere chiamata ad aggiungere un ulteriore e importante tassello nella più generale operazione che vede al centro il nostro Paese nel raggiungimento degli obiettivi clima-energia europei.

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