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Giorgetti smentisce Tria e lo spread vola

Non deve essere facile per il ministro dell’Economia, Giovanni Tria, convivere col fatto di essere messo continuamente in difficoltà sul terreno dei conti pubblici. Non solo quelli, ovviamente. Il fatto è che intorno al Tesoro sembra essersi messo in moto un gioco tra chi provoca, chi smentisce dunque rettifica prima che divampi l’incendio.

Un esempio. Questa mattina, parlando alla festa del Fatto Quotidiano – Versiliana 2018 il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, ha di nuovo rispolverato il tema del 3% del deficit, notoriamente molto caro ai mercati e all’Europa. Giorgetti, che non è certo uomo privo di senso della realtà (sua la previsione per una burrasca finanziaria d’autunno) ha di fatto detto che sì, il 3% qualora fosse necessario, si può sforare. Tutto questo mentre l’Europa ci chiede di stare sotto il 2%, con una riduzione strutturale dello 0,6% da portare a termine nel 2019.

“Se si renderà necessario sforare il 3% per mettere in sicurezza il Paese, allora dico sì. Credo sia interesse anche dell’Europa. Dobbiamo intavolare con la Ue un negoziato serio perché negli ultimi 20 anni non sono stati fatti investimenti seri, soprattutto per il mantenimento delle infrastrutture di questo Paese: è quindi indispensabile mettere mano non solo ai ponti, ma anche alle scuole, agli edifici pubblici a rischio e ad altre situazioni”, le sue parole.

Peccato che, proprio tre giorni fa lo stesso Tria che, giova ricordarlo, ricopre il ruolo di guardiano supremo dei conti e responsabile per la nostra sostenibilità dinnanzi all’Ue, aveva detto dalla sua visita in Cina l’esatto contrario, seppur col consueto linguaggio istituzionale che lo contraddistingue. E cioè che “dire che lo critichiamo è diverso da dire che lo supereremo”. Insomma, la prima esclude la seconda e il 3% non si può oltrepassare. A 72 ore da quelle parole, tutto sembra essere stato messo di nuovo in discussione.

Le dichiarazioni di Tria non erano casuali. Perché 24 ore prima era toccato a Luigi Di Maio, vicepremier e ministro dello Sviluppo lanciare un’altra granata, affermando in un’intervista al Fatto che il fatidico 3% non sta scritto da nessuna parte si debba rispettare. Questo il triangolo vizioso sul deficit italiano.

Lo stop&go si è materializzato anche su un altro terreno, quello della revoca della concessione ad Autostrade. Tra gli incontri cinesi in agenda di Tria c’era quello con Silk road, grosso fondo di investimento del Dragone con interessi concentrati nelle infrastrutture. Ma soprattutto azionisti al 5% della società controllata dai Benetton. Una revoca della concessione, con ogni probabilità propedeutica alla nazionalizzazione della società, avrebbe di fatto tagliato fuori i cinesi costringendoli a uscire dal capitale. Ma Tria è stato abile e persuasivo nel rassicurare Silk road, al punto da far dire allo stesso fondo cinese che no, l’uscita da Autostrade non è all’ordine del giorno.

Tutto molto bello se non fosse che proprio poco fa lo stesso Giorgetti, dal medesimo palco, ha ribadito che il primo obiettivo del governo è “la revoca della concessione alla società Autostrade, poi discuteremo politicamente come procedere”. Qual è il risultato di tutto questo? Uno spread a 290 punti base, a ridosso cioè della soglia psicologica dei 300 punti, a loro volta pericolosamente vicini a quelli dell’estate 2011.

 



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