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Il blocco dell’Iva non è un dogma. Il realismo di Confindustria

La coperta è corta, cortissima e al Tesoro lo sanno. In una manovra finanziaria non si possono fare miracoli specialmente se non si ha la fatidica bacchetta magica in mano. E Giovanni Tria, responsabile dei conti italiani che questo pomeriggio incontrerà a Palazzo Chigi il premier Giuseppe Conte di rientro dagli Usa e il ministro per gli Affari Ue, Paolo Savona per aprire ufficialmente il cantiere della ex Finanziaria, lo sa bene.

Il punto di partenza è il seguente. La manovra parte da una base di importo di non meno di 20 miliardi, se si considerano le seguenti voci. Solo per sminare le clausole Iva servono 12,4 miliardi ma poi c’è da finanziare le spese obbligatorie, come la sanità e le missioni all’estero, e sono altri 3,5 miliardi. Ci sono poi da evitare gli interessi sul debito pubblico e qui di miliardi ne servono più o meno 4. Insomma, a meno di non caricare tutto il conto sull’indebitamento netto portandolo al 2% dallo 0,8% programmato, cosa che ovviamente Tria vorrebbe scongiurare, la manovra 2019 parte da una dotazione di 20 di miliardi.

Considerando che l’Europa è pronta a farci uno sconto sul deficit dell’ordine di dieci miliardi, appare al momento difficile incastrare nella Legge di Bilancio, reddito di cittadinanza e flat tax. In altre parole avviare quel contratto di governo che poggia essenzialmente su queste due misure. A meno che non si ricorra a una specie di baratto, raccontato ieri da Formiche.net. E cioè rinunciare a disinnescare l’Iva, incassare il relativo gettito frutto dal rialzo dell’aliquota e utilizzarne i proventi per finanziare reddito di cittadinanza e flat tax.

Oppure, per accorciare ulteriormente i tempi visto che la manovra va approvata prima di Natale e non attendere lo scatto dell’aliquota dal primo gennaio prossimo, depennare dalla lista della spesa lo stop all’Iva e usare i soldi che servivano a quello scopo per i due provvedimenti cari a Di Maio e Salvini. Ma la sostanza non cambia.

Ora la domanda, che con ogni probabilità anche lo stesso Tria si sarà posto in queste ore è: ha senso, in un quadro di economia anemica, consentire la depressione dei consumi (l’Iva salirebbe al 24,2%) da una parte e dall’altra sbloccare misure a sostegno del reddito e del fisco? Non si rischia l’annullamento reciproco dei rispettivi benefici? D’altronde il Pil cresce solo con la spesa. Da una parte abbatto in consumi, rischiando un impatto sul Pil fino al -1,1% (dati Confesercenti) mentre con reddito di cittadinanza e flat tax cerco di spingerli. E allora?

Formiche.net si è confrontata sulla questione con Vincenzo De Luca, responsabile fisco di Confcommercio e Andrea Montatnino, capo del centro Studi di Confindustria. “Lo scambio Iva-Flat tax sarebbe un grave errore perché evitare l’aumento dell’imposta è l’unico vero modo per rilanciare i consumi. Il vicepremier Di Maio è venuto a dircelo in assemblea, garantendoci che questo non sarebbe avvenuto. Abbiamo la sua parola e questa per il momento ci basta”, afferma De Luca. “Le due cose non possono stare sullo stesso piano. I consumi sono il motore di questa economia tagliargli le gambe sarebbe un errore madornale”.

Diverso il punto di vista di Montanino, per il quale l’aumento dell’Iva non va escluso del tutto. “L’economia rallenta e bisogna tenerne conto nel disegnare la manovra per il 2019. Inoltre c’è l’impegno politico a non far scattare l’Iva, a fare la flat tax e il reddito di cittadinanza. In più c’è l’impegno di una manovra correttiva di 0,6 punti di Pil. Come si tengono insieme tutte queste cose? Da una parte flat tax e reddito di cittadinanza vanno avviati gradualmente, con un piano di medio termine. Dall’altra va aperta la riflessione se l’aumento dell’Iva possa garantire le diverse compatibilità, sui conti pubblici e sugli impegni del contratto di governo”.

Secondo il numero uno del Centro Studi di Viale dell’Astronomia “dobbiamo guardare in faccia la realtà dei conti pubblici e anche avere la consapevolezza che gli investitori e i riparmiatori hanno bisogno di certezze. Lo spread non è ancora sceso, anzi”.

Una preoccupazione, quella dello spread, condivisa dal deputato azzurro Renato Brunetta. “È evidente che gli acquirenti internazionali hanno ricominciato a vendere i nostri titoli di Stato, in attesa dell’importante supervertice di oggi, dove capiremo così finalmente quale posizione prevarrà, tra la linea della disciplina fiscale del ministro Tria e quella della politica economica ‘tassa e spendi’ dell’asse Lega e Cinque Stelle. Considerando che il prossimo autunno le principali agenzie di rating dovranno esprimere il loro giudizio sul debito italiano e che la Bce cesserà il suo programma di acquisto dei titoli di Stato, c’è davvero da augurarsi che prevalga la posizione del ministro dell’economia. Altrimenti, un nuovo attacco dei mercati è praticamente scontato”.

 

 

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