Nel panorama internazionale sono sempre di più le realtà urbane che possiamo definire grandi città. È necessario però chiarire cosa si intenda per “grande”, adoperato in questo caso non da un punto di vista prettamente geografico. Milano, ad esempio, soprattutto se paragonata ad altre metropoli europee, occupa una superficie territoriale abbastanza limitata, ma possiede una vocazione di metropoli ad alta intensità. Inoltre, le grandi città hanno tra di loro una forma di collaborazione/competizione che spesso le rende tra loro più simili di quanto ciascuna di esse non lo sia con il proprio Stato di appartenenza. I macro temi che gravitano attorno alle grandi città sono due.
Il primo è quello della povertà; se concentrassimo tutte le città del mondo in un unico grande spazio, copriremmo circa il 3% della superficie delle terre emerse del pianeta, ma quel 3% sarebbe abitato per il 30% da popolazioni che vivono in condizioni di povertà assoluta, nelle favelas, negli slum, nelle baraccopoli. Il secondo è quello del cambiamento climatico: quel 3% di superficie produce infatti mediamente il 75% dell’anidride carbonica, generando l’aumento della temperatura del pianeta, lo scioglimento dei ghiacciai e il conseguente innalzamento del livello degli oceani, che colpirà – se non invertiamo il cambiamento climatico – proprio le città, in quanto la maggior parte dei centri abitati si trova in zone costiere a rischio. Penso ad esempio a Shanghai, Miami, Tokyo, Bangkok. Le città sono, insieme, la prima causa e la prima vittima del cambiamento climatico.
La vera grande sfida delle città globali è quindi capire come affrontare queste due grandissime criticità, in modo integrato. Le strategie da adottare sono ovviamente innumerevoli, molte delle quali legate ai temi della sostenibilità, quindi alle energie rinnovabili, al verde, alla deforestazione (i boschi e le foreste assorbono il 40% dell’anidride carbonica), ma anche alla mobilità e alle infrastrutture. La mobilità rappresenterà, e forse rappresenta già oggi, la sfera della vita quotidiana dove si registra maggiore progresso innovativo. Si parla di auto elettrica, automatica, di car sharing, ma tutto ciò può funzionare solo se ci sono le infrastrutture necessarie.
Le smart city non devono e non possono essere solo città dove tutti sono costantemente connessi, ma città dove vi sono infrastrutture che funzionano. Sebbene in passato l’Italia abbia investito molto nel settore, oggi la situazione è profondamente cambiata. Eppure vi sono alcuni interventi che andrebbero fatti con grande urgenza. Il Paese, ad esempio, ha 14 aree metropolitane, ma il loro ruolo è rimasto indefinito. Non si capisce bene cosa siano, cosa possano e cosa debbano fare. Una visione strategica insieme a una visione infrastrutturale rappresenterebbero una grande sfida e un’incredibile opportunità. Lo stesso vale per le coste, patrimonio prezioso del nostro Paese che vantano, però, un sistema portuale e interportuale assolutamente insufficiente. Le risorse ci sono, sono straordinarie ed enormi: bisogna solo iniziare a sfruttarle.
Credo, infine, vi sia una responsabilità squisitamente politica in queste falle. Prendiamo il caso di Milano, una città che è riuscita negli ultimi dieci anni a recuperare molto terreno, anche su alcune altre grandi città internazionali. In passato è sempre mancata una visione condivisa fra tutti gli attori in campo, dalle istituzioni al mondo della finanza, dall’editoria alla sanità, dal design alla moda; ognuno si è sempre mosso per conto proprio, guardando avanti ma senza mai guardarsi attorno, senza cercare di costruire una rete sul proprio territorio. Solo grazie all’occasione dell’Expo, forse, hanno capito che si poteva trovare una convergenza, non solo nello spazio, ma anche nel tempo. Nel giro di due anni si sono così realizzate opere che erano in attesa da vent’anni. Investendo e trasformando edifici e infrastrutture, Milano è cambiata in modo spettacolare. Questo è il segno che, quando la politica si muove e sa trovare occasioni adeguate, i risultati sono straordinari.
(Articolo pubblicato sul numero 137 di giugno 2018 della rivista Formiche)