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Perché la pagella dei mercati punisce la parlantina dei vicepremier italiani

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C’è una strana aria in questi giorni di agosto intorno all’esecutivo. La crisi turca ha indubbiamente innervosito i mercati europei, con inevitabili ripercussioni sullo spread Btp-Bund. Eppure, dietro l’impennata di questi giorni, c’è qualcosa di più.

Il ministro dell’Economia Giovanni Tria, in un’intervista di qualche giorno fa, aveva affermato che per gli investitori il vero spauracchio non è tanto la natura delle misure ma l’incertezza circa la loro realizzazione. Quindi non è tanto questione di flat tax, reddito di cittadinanza o Fornero, insomma di dove mettere le mani, ma se, come e quando il governo andrà fino in fondo.

Aveva ragione, perché volendo lavorare d’intuito, i conti sembrano tornare. Questa mattina il differenziale viaggia allegramente oltre i 270 punti base, 276 per la precisione. La colpa? Dell’incertezza, naturalmente. Depurato per un attimo il dato odierno dagli effetti della Turchia, non può essere un caso se lo spread da un paio di giorni ha ripreso la cavalcata. C’è troppa carne al fuoco e non si capisce, per esempio, se la rotta che porta alla prima manovra gialloverde è tracciata o meno.

Ieri il sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Giancarlo Giorgetti, uomo di fiducia di Salvini e tra i più preparati nel Carroccio, ha detto quello che nessuno voleva sentirsi dire: ci sono seri elementi per prevedere a fine mese un attacco speculativo dei mercati. Proprio mentre il governo si accingerà a scrivere la prima stesura della manovra i mercati inizieranno a martellare forte. Una presa di posizione dura che può essere interpretata così: una specie di ammissione di responsabilità circa la mancata omogeneità della linea di politica economica italiana. Come a dire, sì, gli investitori forse stanno faticando a comprendere le intenzioni del governo in materia di conti pubblici.

Luigi Di Maio, deve aver fiutato il pericolo per correre a tamponare, il giorno dopo dalle colonne del CorSera, la ferita. “L’Italia non teme attacchi speculativi e il Paese non è ricattabile”. Quanto successo nel 2011 in Italia e oggi in Turchia, insomma, non è replicabile. Le parole di Di Maio però si scontrano con altri due dati, uno sicuramente più oggettivo e veritiero dell’altro. La rottura, quasi definitiva, con l’industria italiana.

Se Confindustria, per mezzo del suo presidente Vincenzo Boccia, è arrivata a proferire la parola “delusione“, vuol dire che lo spazio di recupero è poco. Non che i rapporti tra l’associazione e l’esecutivo legastellato fossero partiti sotto i migliori auspici: la diffidenza, fin da subito, è stata tanta verso il contratto (qui l’approfondimento).

Eppure, quello che preoccupa di più forse, è che la resa di Viale dell’Astronomia arriva a due mesi e poco più dal giuramento del governo e quando ancora non è stata scritta la manovra. Qualcuno ha parlato di un boccone, quello del decreto dignità, mai digerito e forse ha ragione. Ma il risultato non cambia. I rapporti tra Palazzo Chigi e la principale associazione industriale italiana, sono ai minimi storici.

Ultima considerazione per chiudere il cerchio. Non giova di certo l’indiscrezione che vorrebbe Matteo Salvini pronto a far saltare Tria al Tesoro. I due, va detto, non sono mai andati troppo d’accordo. Salvini ha sempre visto nel professore di Tor Vergata un ostacolo alla realizzazione tout court del contratto. Ma Tria, non dimentichiamolo, è anche l’uomo che si è impegnato con l’Europa a garantire la sostenibilità dei conti italiani, debito incluso, ma soprattutto una manovra rispettosa dei parametri Ue. Togliere questo filtro equivarrebbe a un disimpegno generale sui vincoli europei.

Messi insieme tutti questi fattori si ottiene un solo risultato: uno spread di 140 punti base superiore a quello dello scorso maggio (130).

 

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