La situazione in Siria sale di livello: su quella che ha tutte le caratteristiche di una fase preparatoria per l’offensiva governativa su Idlib, ultima sacca in cui sono state confinate le opposizioni, entrano in scena gli Stati Uniti. “Il presidente Bashar al Assad non deve attaccare sconsideratamente la provincia di Idlib in Siria. E russi e iraniani farebbero un grave errore umanitario nel prendere parte a questa potenziale tragedia umana. Centinaia di migliaia di persone potrebbero essere uccise. Non permettiamo che questo accada!”, ha scritto Donald Trump su Twitter.
President Bashar al-Assad of Syria must not recklessly attack Idlib Province. The Russians and Iranians would be making a grave humanitarian mistake to take part in this potential human tragedy. Hundreds of thousands of people could be killed. Don’t let that happen!
— Donald J. Trump (@realDonaldTrump) 3 settembre 2018
Trump pressa sui risvolti umanitaria dell’operazione: insieme ai gruppi ribelli (anche quelli filo-qaedisti dell’ex al Nusra) ci sono infatti centinaia di migliaia di civili – IDP, Internally Displaced Person è il gergo tecnico con cui si indicano queste persone spostate da una parte all’altra del paese. Sono coloro che vivevano nei luoghi protagonisti di precedenti offensive, per esempio quella su Aleppo o quelle nei territori al sud, che sono stati sfollati, desplaced, verso posti teoricamente più sicuri. Di questi, se la situazione a Idlib diventerà insostenibile, molti diventeranno profughi in cerca di rifugio in altri paesi: stime parlano di quasi due milioni di potenziali migranti in fuga dalla guerra.
Con la gran parte del territorio ormai riconquistato da Assad, la battaglia di Idlib potrebbe diventare l’ultima grande battaglia della guerra civile siriana: quella sancirebbe definitivamente la vittoria del regime. Fonti citate dall’agenzia di stampa Reuters hanno detto che i governativi hanno in mente “un’offensiva graduale”.
La posizione presa dalla presidenza statunitense è piuttosto interessante, perché Trump da molto tempo sostiene la necessità di ritirarsi dalla Siria, dove le truppe americane stanno combattendo la guerra allo Stato islamico attraverso formazioni ristrette di unità speciali che sostengono boots on the ground i curdi siriani. L’operazione ha permesso la riconquista di quasi tutto il territorio occupato dal Califfato negli anni dopo l’autoproclamazione del 2014 (lasciando indirettamente spazio al governo siriano per occuparsi soltanto dei gruppi ribelli non-Isis, quelli che spingevano la rivoluzione contro il rais, con diverse sfumature islamiste).
Trump ha avuto sempre una posizione di disimpegno sulla crisi siriana, seguendo il solco tracciato dal suo predecessore Barack Obama. La dichiarazione su Idlib, però, segue una traiettoria già seguita dal presidente americano: quando il governo siriano si rese responsabile di un attacco chimici a Khan Shaikhoun, le cui immagini inorridirono l’opinione pubblica mondiale, Washington – in accordo con Londra e Parigi – rispose con una rappresaglia simbolica contro la base da cui decollò il bombardiere al sarin assadista. Francia e Regno Unito, hanno già preso posizione insieme agli Stati Uniti su possibili conseguenze militari per eventuali attacchi chimici a Idlib.
È il doppio binario americano: il ritiro e il disimpegno, che con Trump sono diventati simili all’isolazionismo, sono una teorizzazione che spesso si scontra con la realtà. Pentagono e dipartimento di Stato mantengono una linea meno propagandistica e sostengono il ruolo internazionale che gli Stati Uniti hanno anche sul rispetto dei diritti, che siano civili o di guerra.
Lunedì è stato proprio il dipartimento di stato americano ad avvertire che Washington avrebbe risposto a qualsiasi attacco chimico da parte del governo siriano o dei suoi alleati. E Nikki Haley, ambasciatore statunitense presso l’Onu, ha twittato: “Tutti gli occhi sulle azioni di Assad, Russia e Iran in Idlib. #NoChemicalWeapons”.
L’appuntamento in cui le parole dell’amministrazione Trump diventeranno argomento di discussione, sarà certamente la riunione di Teheran del 7 settembre, in cui gli iraniani ospiteranno i partner russi e turchi (“partner” sul campo e nel processo negoziale di Astana, alternativo alle riunioni che l’Onu sta tenendo da anni a Ginevra).
Il ministro degli Esteri russo, Sergei Lavrov, ha già annunciato che i “terroristi” devono essere spazzati via da Idlib, accusandoli di usare i civili come scudi umani. Sia lui che il suo omologo siriano, Walid Muallem, organizzatore del vertice che si terrà tra tre giorni, hanno accusato i ribelli di prepararsi a organizzare un attacco chimico a Idlib per incolpare le forze filogovernative e attirare nuove rappresaglie militari statunitensi. Sono modi per pararsi da eventuali situazioni successive.
“C’è una tempesta perfetta basata su avvertimenti, contro-avvertimenti che si stanno accumulando intorno al dilemma, che è un vero dilemma, su come sconfiggere i terroristi a Idlib e allo stesso tempo evitare di colpire un enorme numero di civili”, ha avvisato il delegato dell’Onu per la crisi siriana, Staffan de Mistura, che ha annunciato di aver invitato russi e iraniani a un incontro nella sede della Nazioni Unite di Ginevra l’11 e 12 settembre.