Non c’è nulla di più irriguardoso e frustrante nei confronti di chi ha sofferto per via delle foibe e dell’esilio che, a tanti anni di distanza, vedersi ancora inscatolare in obsolete cornici ideologiche che si disinteressano delle vittime. Il commento di Igor Pellicciari, ordinario di Relazioni Internazionali all’Università di Urbino
Antica è la questione di quale relazione debba esserci tra uno studioso e l’oggetto della sua ricerca.
Due sono gli orientamenti prevalenti.
Uno teorizza che tra i due ci sia un distacco, garanzia per un’analisi oggettiva.
Chi studia un partito politico di cui è stato anche militante, corre il rischio che il suo vissuto ne condizioni le percezioni.
L’altro orientamento raccomanda al contrario una compenetrazione tra i due.
Solo vivendo con la tribù nella foresta amazzonica, l’antropologo riesce a comprenderne la cultura.
Benché entrambe le visioni (e le numerose sfumature intermedie) presentino solidi argomenti, chi scrive ha optato per la prima, in particolare quando interpellato su argomenti riguardanti le sue personali origini italiane e balcaniche, co-esistenti dalla nascita.
E’ difficile trasmettere a chi non ha vissuto tra queste due dimensioni cosa rappresenti il tragico tema delle foibe ed il suo incrocio con l’altra dolorosissima questione (incredibilmente, ancora aperta) degli esuli istriani. Che l’Italia del dopoguerra accolse con un fastidio e un pregiudizio, ben lontani dal solidarismo umanitario riservato oggi ai migranti in arrivo sulle nostre coste.
Per intere generazioni vissute a cavaliere tra Italia e Balcani è stata una ferita emofiliaca, la cui cicatrizzazione è stata rallentata da continue contrapposizioni e strumentalizzazioni politiche. Partite da Destra e da Sinistra. Con le espressioni più rumorose e settarie ad opera di estranei alle tragiche vicende in oggetto.
Come Gianfranco Fini, che prima della metamorfosi (trasformista\super-moderata) a Ministro degli Affari Esteri, da Segretario del Msi, nel Novembre 1989 arrivò ad incatenarsi a Gorizia al confine con la Slovenia in nome di un revanscismo territoriale che pure in quel periodo confuso sembrò una provocazione dannosa e senza senso.
Con gli ultras in campo durante la Prima Repubblica (nostalgici da una parte; guardiani della rivoluzione dall’altra) il tema foibe+esuli è stato evitato dal intellighenzia nostrana di orientamento progressista. Mentre ci si ergeva a difesa del riconoscimento dei diritti umani e civili di popoli oppressi lontani o lontanissimi; per opportunismo o timore, si sceglieva di soprassedere sulla penosa ed umiliante situazione vissuta in prima persona da tanti concittadini.
Si deve ad Ernesto Galli Della Loggia dalle pagine del Corriere della Sera nei lontani anni ’90 segnati dal crollo del Muro di Berlino, il merito di avere riproposto la questione sui media nazionali in una cornice storiografica nuova, mossa dalla necessità di mettere al centro giustizia individuale e pietas per le vittime di quella orribile stagione.
Complice un nuovo ordine post-bipolare slegato dai dogmi della Guerra Fredda, si sono nel tempo moltiplicati atti distensivi (spesso da parte italiana) che hanno rasserenato i rapporti con tutti i paesi nati dalla disgregazione Jugoslavia – inclusi quelli che erano stati teatro di foibe ed esuli.
Si è andato dal determinante sostegno italiano all’indipendentismo croato e sloveno nel periodo pre-bellico; alla concessione durante la guerra del permesso di soggiorno umanitario ai provenienti da qualsiasi territorio ex-Jugoslavo (anche non afflitto da scontri).
Ancora più importante è stato il convinto placet (tutt’altro che scontato sulla carta) che Roma ha dato all’ingresso nella Ue di Slovenia (2004) prima e Croazia (2013) poi; in un contesto di convergenza geo-politica che ha ovviamente gettato le basi per l’odierno quadro di ottimi rapporti bilaterali con Zagabria e Lubiana.
Ne ha beneficiato anche l’affermarsi di una condivisa ricostruzione del tragico passato delle foibe, finalmente de-ideologizzato del contesto storico e concentrato sulla dimensione del cordoglio per le vittime. Guidato da uno spirito al meglio rappresentato nel luglio 2020 dalla storica e a tratti toccante commemorazione tenutasi a Basovizza alla presenza, mano nella mano, del Presidente italiano Sergio Mattarella e di quello sloveno Borut Pahor.
L’amaro paradosso è che mentre l’Italia è riuscita nell’obiettivo più difficile di entrare in sintonia con i suoi vicini nello spostare lo sguardo in avanti rispetto a quei tragici avvenimenti; è al suo interno che invece resta bloccata in un passato mefitico fatto di polemiche politiche antiche.
Che, come se non bastasse, nel cinico tentativo di ottenere un traino di visibilità, trovano nuovo vigore in occasione della Giornata del Ricordo.
Ricorrenza che, va rimarcato, è di recente introduzione (non a caso dopo l’ingresso della Slovenia in Ue) con un chiaro taglio de-politicizzato nel tentativo di correre al riparo per il lungo silenzio ideologico italiano dei decenni precedenti sul tema foibe+esuli.
E che, va detto, continua a trovare disinformata e distratta gran parte dell’opinione pubblica nostrana, per decenni scarsamente sensibilizzata sugli avvenimenti storici cui ci si richiama.
Il punto è che non c’è nulla di più irriguardoso e frustrante nei confronti di chi ha sofferto per via delle foibe e dell’esilio che, a tanti anni di distanza, vedersi ancora inscatolare in obsolete cornici ideologiche che si disinteressano delle vittime, in un loop infinito ancora più doloroso perché di matrice domestica.
Tornando in chiusura all’esperienza autobiografica, chi scrive ricorda molto bene il motivo per cui da ragazzo, attratto dal desiderio giovanile (poi svanito) di fare militanza politica, optò per formazioni studentesche riformiste. Non tanto per un motivo ideologico particolare ma perché, da italo-slavo bilingue, era contrario al fascismo avendo avuto un padre comandante di brigata partigiana; ma anche al comunismo, memore del trattamento discriminatorio riservato dalla Jugoslavia titina alle minoranze italiane.
Questo per dire che, nel 2022, si può essere anti-fascisti e al contempo piangere le vittime delle foibe e difendere i diritti ancora oggi negati degli esuli istriani.
Senza fare polemiche, almeno nella Giornata del Ricordo.
(Foto di Dans)