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In Africa disattenti con la Russia, puntiamo sul Piano Mattei. Il commento di Mezran

Davanti alla penetrazione russa in Africa siamo stati disattenti, commenta Mezran (Atlantic Council). Per questo servono idee, spiega, e quella “del Piano Mattei è l’unico modo per riconquistare ‘hearts and minds’ in Africa e recuperare terreno in una battaglia che stiamo perdendo”

“Definirei folle la disattenzione con cui negli ultimi anni Stati Uniti ed Europa hanno trattato la Libia e in generale il Nordafrica”, dice Karim Mezran, direttore della North Africa Iniziative dell’Atlantic Council. “Per quanto comprensibile, a causa certamente della guerra in Ucraina e poi a Gaza e più in ampio alla competizione nell’Indo Pacifico e alla gestione dello status quo di Taiwan, non è strategicamente valido contrastare un avversario come la Russia che si muove a Est senza seguire quello che sta facendo a Sud”.

Si tratta di una logica quasi elementare, basilare per la gestione sia tattica che strategica dei fronti sensibilizzati con un rivale. “Non solo — aggiunge Mezran — perché dobbiamo ricordare che si fa spesso un gran parlare di concetti come ‘Fronte Sud’, ‘Quarta sponda’ e in generale di sicurezza nel Mediterraneo allargato: eppure sono mesi che si segnalano, anche su queste colonne, dei movimenti più che evidenti di forze russe nel Nordafrica. Di cosa ci stupiamo adesso?”.

L’analista dell’Altantic Council si riferisce al clamore mediatico che hanno ricevuto le notizie sui nuovi dispiegamenti russi (in Niger o Burkina Faso) e alle nuove evoluzioni (negative) del quadro libico. Quando dice “anche su queste colonne”, fa invece riferimento a due segnalazioni collegate, pubblicate da Formiche.net. Sulla base di alcuni filmati girati a dicembre, e delle successive valutazioni per corroborarli, a febbraio era stato tracciato l’arrivo di diversi set di armamenti russi di vario genere in Cirenaica— dove la Russia è schierata alle spalle di Khalifa Haftar, il capo miliziano che controlla Bengasi, ha già attaccato militarmente i governo onusiani di Tripoli e per questo, con i muscoli, si è guadagnato un ruolo di interlocutore internazionale sul destino della Libia. Successivamente, le informazioni ricevute erano state arricchite da una valutazione tetra: la Russia non aveva inviato quelle armi a Haftar — e dunque non era in corso la preparazione per un nuovo attacco a Tripoli — ma stava sfruttando la Cirenaica come hub logistico per inviare rinforzi altrove, secondo la strategia degli Africa Corps, le unità che sostituiscono la Wagner con un sistema più ordinato che farebbe capo alla Difesa di Mosca.

“Ora otteniamo un dettaglio in più: secondo le stime che abbiamo effettuato, con tutte le armi che le fonti locali hanno osservato, si può presumere che il totale dello schieramento russo sia composto da qualcosa come diecimila uomini”, dice Mezran. Tutto diventa ancora più tetro.

“Il fatto è che questa presenza, che chiaramente può essere anche ingombrante per gli altri attori regionali come l’Egitto, è ormai radicata”, spiega Mezran, il quale sottolinea come l’aver gestito Haftar da interlocutore politico “ha avuto questa conseguenza: lo ha rafforzato a livello internazionale e ora è intoccabile, perché difeso dalla Russia, mentre diventa parte dei piani a medio raggio di Mosca”. Quali sono questi piani? “La destabilizzazione del Nordafrica innanzitutto, da lì creare hotspot nel Mediterraneo che possano distogliere l’attenzione della Nato, rubargli concentrazione. E poi, dal santuario militare libico l’obiettivo è scendere in profondità verso il Sahel e l’Africa centrale, secondo un processo che stiamo già vedendo in Mali, Burkina Faso, Niger o Chad”.

Il primo effetto è una Libia che resterà sempre divisa, dunque sempre più instabile, perché quello è l’interesse russo per proteggere questa proiezione africana. E poi, anche più importante, c’è l’obiettivo di diffondere un modello di governance rivale dell’Occidente in un’ampia fetta di Africa. Questo significa che la proiezione strategica russa contrasta anche con la strategia italiana per l’Africa, quella che va comunemente descritta attraverso il cosiddetto “Piano Mattei”?

“C’è una cosa fondamentale da dire: il Piano Mattei può essere una forma di soluzione a questo quadro complesso e rivale . Deve essere però chiaro che il suo valore è innanzitutto politico”, risponde Mezran: “L’intuizione avuta dal governo Meloni di avviare questa nuova dinamica dei rapporti con i Paesi africani, rapporti più partitari, di cooperazione e non di sfruttamento, di condivisioni di valori, è il modello a cui sono interessate le popolazioni, anche se i governi magari potrebbero avere, per interessi diretti, propensione a preferire i rapporti con la Russia o con la Cina”.

“Capisco le polemiche perché il piano non sembra preparato da un punto di vista economico — aggiunge Mezran — ma ripeto che a mio modo di vedere non sta lì suo valore: il suo valore è politico, perché è un’idea. E sono le idee che muovono l’economia, non mi convinceranno mai del contrario. Aggiungo che sotto molti aspetti l’idea del Piano Mattei è l’unico modo per riconquistare ‘hearts and minds’ in Africa e recuperare terreno in una battaglia che stiamo perdendo”.

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