L’uso dei droni è oramai diffuso nei conflitti di tutto il globo, nonostante le diversità di caratteristiche e contesto. Ma ci sono delle linee comuni su cui l’impiego degli Uas deve strutturarsi. Sia in termini pratici che in termini morali
Il conflitto in Ucraina è stato senza ombra di dubbio un momento di svolta nella storia militare, consacrando l’impiego estensivo degli Unmanned Aerial System (Uas), secondo forme e metodologie d’impiego diversi rispetto al passato. Ma oltre all’Ucraina, i droni si sono rivelati cruciali anche in altri teatri bellici, dalla Striscia di Gaza fino al Mar Rosso. Fornendo preziosi spunti per gli analisti militari e gli studiosi del settore. Il Center for European Policy Analysis ha organizzato un evento per raccogliere le principali lezioni emerse dall’utilizzo di questi sistemi durante gli ultimi mesi, e per cercare di anticipare eventuali sviluppi futuri. Il dibattito, moderato dal Leonardo fellow nonché responsabile della Defense Tech Initiative del centro Federico Borsari, ha visto la partecipazione di Gordon B. “Skip” Davis Jr., Senior Fellow del Cepa ed ex-Major General dell’esercito degli Stati Uniti, Lance Landrum, Senior Fellow del Transatlantic Defence and Security Program ed ex-Lieutenant General dell’aviazione statunitense, e di Joanna Van Der Merwe, Fellow della Defense Tech Initiative del Cepa.
L’ampissimo sviluppo delle capacità unmanned negli ultimi anni che ha addirittura portato ad un’adozione di droni anche al di fuori della loro “classica” dimensione aerea, adattandoli alle necessità del dominio terrestre e di quello navale. “In Ucraina si può notare un interessante mix tra il passato, rappresentato dalla vecchia scuola di logoramento e lo sbarramento dell’artiglieria, eccetera, e il futuro della guerra. con l’innovazione e la creatività che sono arrivate in prima linea, pur non senza ostacoli, resistenze e adattamenti”, nota Landrum, che sottolinea come i droni di tutte le categorie, classi, e dimensioni siano stati protagonisti di questo balzo in avanti, rivelandosi estramamente versatili e duttili. Tanto da essere impiegati sia in contesti ad alta intensità come l’Ucraina che in casi di guerra asimmetrica (da ambo le parti in causa) come il Medio Oriente, e anche nella campagna di disturbo logistico condotta dagli Houthi nello stretto di Bab el-Mandeb.
Questa proliferazione non deve però far dimenticare uno dei principi fondamentali che sta dietro all’utilizzo di questa tecnologia: i droni non sono game changer di per sé, e la loro efficacia è strettamente legata a capacità più canoniche, che vanno dal command e control e alle capacità di fuoco all’electronic warfare e al grado di interazione con altri di asset militari. “Innanzitutto, è necessario disporre di operatori addestrati, che comprendano le capacità e siano in grado di far funzionare i sistemi, se si forniscono loro i limiti, le vulnerabilità e le capacità di valutazione delle prestazioni”, commenta Davis, “inoltre, è necessario che i comandanti capiscano esattamente come integrarli con altri elementi di guerra, come le armi combinate, gli elementi di guerra terrestre, il che significa che è necessario disporre di elementi di manovra e di una capacità di supporto di fuoco molto importante per sfruttare ciò che vedono e ciò che possono colpire. E poi, per garantire che possano essere impiegati con la massima efficacia, è necessario avere la capacità di condividere in un quadro più ampio ciò che sta accadendo a livello tattico e a livello più basso o anche a livello più ampio di teatro operativo”.
Questo balzo in avanti potrebbe avere anche implicazioni di carattere etico. C’è infatti un diffuso timore che lo sviluppo di queste armi, ma anche quello di altre tecnologie (prima tra tutte quella dell’Intelligenza Artificiale), oltre a comportare un’evoluzione nella capacità militari rispetto a quelle “prettamente umane” possano in qualche modo ridurre il controllo dell’essere umano sulle azioni delle armi stesse, con i rischi collaterali che ne conseguono. “Penso che quello che si sta vedendo con i droni e con l’IA sia un vero e proprio cambiamento di gioco in termini di intelligence: la velocità della quantità di informazioni che si è in grado di ottenere con l’ubiquità dei droni e la quantità di sensori che si hanno ora sul campo di battaglia non ha precedenti; così come il cambio di passo garantito dall’IA che è in grado di aiutare a vagliare le informazioni a ritmi impossibile per un essere umano, soprattutto in combattimenti ad alta intensità, dove il campo di battaglia cambia molto rapidamente”, è il commento di Van der Merwe, la quale si sofferma anche sulla differenza tra autonomia e automatizzazione, e soprattutto nel diverso grado di arbitrio della macchina, che nel secondo caso è inesistente. “Alcune di queste tecnologie (automatizzate) sono stati impiegati già da molto tempo, ad esempio sulle navi della Marina per molto tempo, dove hanno dimostrato di essere estremamente efficaci, soprattutto quando li si utilizza in funzione difensiva. Quando parliamo di automazione rispetto all’autonomia, penso che abbiamo molto più margine di manovra per iniziare a usare l’autonomia nelle catene logistiche, proprio perché non ha un elemento letale”.