Skip to main content

L’incidente di Chernobyl fece saltare anche lo scudo spaziale sovietico

In questi giorni ricordiamo il trentesimo anniversario del più grave incidente nucleare della storia, finora l’unico, insieme a quello di Fukushima, ad avere raggiunto il livello 7 della Scala Internazionale degli Eventi Nucleari. Sappiamo che da Chernobyl è sfuggita una radioattività pari a 5,200 PetaBequerel, circa 400 volte il materiale radioattivo prodotto dalla bomba di Hiroshima. Sappiamo che sono morte 237 persone fra tecnici e soccorritori e che 100 mila km 2 di terreno sono stati contaminati causando migliaia di tumori nelle popolazioni residenti.

Ma pochi di noi sanno che la fusione del reattore RBMK-1000 numero 4 ha anche gravemente danneggiato il sistema di allarme antiatomico dell’Unione Sovietica. Un’occhiata alle mappe satellitari di pubblico dominio ci mostra due strutture misteriose proprio a cavallo dell’impianto nucleare di Chernobyl e connesse a quest’ultimo da due linee elettriche da 330 kiloVolt. Una si trova meno di 10 km a Sud Sud Ovest, e ben all’interno della zona di esclusione, si può vedere qui. Mentre un’altra si distingue 50 km a Nord Est, si trova qui. Si tratta rispettivamente delle stazioni di trasmissione e di ricezione di uno dei più grandi e più segreti impianti radar esistenti al mondo: i sovietici l’avevano identificato come “5H32-West” mentre i servizi segreti occidentali lo chiamavano “Woodpecker” o “Steel Yard”.

Il nome Woodpecker fu assegnato a causa della sua caratteristica trasmissione pulsata a 10 Hz che ricordava il rumore prodotto da un picchio in azione. Ma il nome Steel Yard, cantiere d’acciaio, fu scelto quando i primi satelliti spia americani scoprirono una gigantesca struttura costituita da 60 tralicci d’acciaio alti oltre 150 metri e interallacciati da una rete di cavi e di antenne simili a enormi boe che si estendevano per 800 metri nel mezzo della foresta, in prossimità delle due città chiuse di Chernobyl-2 e di Chernihiv. Queste due stazioni – insieme ad un’altra coppia trasmittente e ricevente situata presso Komsomolsk sull’ Amur nell’estremità orientale della Siberia – formavano il complesso Duga 3: un impressionante sistema radar in grado di tenere sotto controllo un’area che si estendeva ben oltre l’orizzonte e fino a 9000 km di distanza (New York si trova a “soli” 7500 km).

Il sistema era in grado di individuare qualsiasi missile balistico intercontinentale immediatamente dopo il lancio. I sovietici, in caso di attacco da parte degli Stati Uniti o di qualsiasi altro avversario, avrebbero potuto individuare istantaneamente la minaccia ed avrebbero avuto tutto il tempo per scagliare sull’avversario tutti i propri missili balistici intercontinentali ed ordinare ai comandanti dei sottomarininucleari in tutti gli oceani di provvedere a spianare tutto quello che rimaneva con le testate nucleari di bordo.

Negli anni della guerra fredda, infatti, i premier Juri Andropov e poi Konstantin Tchernenko, non si stancavano di ricordare alla Nato che, “prima che le vostre bombe nucleari possano raggiungere il nostro territorio, noi vi avremo da tempo annientato”. Ora sappiamo che non bluffavano per niente. Duga 3 era la terza versione, definitiva, dei più piccoli sistemi sperimentali Duga-1 e Duga-2, entrambi costruiti a Mykolaiv – ora in Ucraina – e messi alla prova proprio coi lanci di vettori che portavano in orbita cosmonauti e stazioni spaziali dal cosmodromo di Baykonur.

Questi sistemi lavoravano nel campo delle onde corte e sfruttavano, per aumentare la portata, la capacita della ionosfera di riflettere le onde radio. In questo modo erano in grado di localizzare con precisione posizione e traiettoria di bersagli che si trovavano ben oltre la curvatura terrestre. Il picchio aveva bisogno di oltre 2000 persone per il suo mantenimento, ingegneri, tecnici specializzati, scienziati e militari che analizzavano i dati e contribuivano a preservare la pace grazie alla teoria della mutua distruzione assicurata (“se mi distruggi, prima di morire avrò già distrutto te”). Nelle vicine città chiuse agli stranieri di Chernobyl-2 e di Chernihiv e nel vicino centro residenziale di Kopatschi avevano tutto quello di cui avevano bisogno: case, scuole, ospedali, biblioteche, parchi eristoranti. Ma il sistema aveva anche bisogno di energia: 10 MegaWatt erano necessari alle sole antenne. Per questo si decise di realizzarlo contemporaneamente e accanto alla grande centrale atomica di Chernobyl, che per nove anni ha reso disponibile tutta l’energia necessaria a garantire il contributo sovietico all’equilibrio del terrore.

Dopo il disastro, la stazione di trasmissione si trovò investita in pieno dal fallout radioattivo, e l’intero sistema rimase attivo, seppur con potenza molto più limitata, fino al 1989 quando cessò le trasmissioni contemporaneamente al definitivo spegnimento dei reattori numero 1, 2 e 3; sopravvissuti alla catastrofe e rimasti in funzione proprio fino ad allora.

A differenza del paese di Kopatschi, completamente smantellato e trasferito in un deposito di scorie nucleari insieme a tutti i mobili ed agli averi di chi vi viveva, quello che resta del sistema che ha contribuito a impedire la distruzione del pianeta è ancora in piedi. Gli ucraini pensano di includerlo nel percorso delle gite turistiche che stanno organizzando a Chernobyl. “Un viaggio in un futuro dimenticato a bordo di un comodo pullman, con dimostrazione di prodotti per la casa senza obbligo d’acquisto”.



×

Iscriviti alla newsletter