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Che cosa andrà in Borsa delle Ferrovie di Ghezzi e Mazzoncini

Era il novembre del 2015 quando il governo mise in cantiere la privatizzazione delle Ferrovie. Da allora di acqua sotto i ponti ne è passata parecchia con l’entusiasmo iniziale via via scemato. Ora però il gruppo guidato dall’ad Renato Mazzoncini, fresco di presentazione di un piano industriale che sfiora i 100 miliardi in 10 anni, sembra aver ripreso nuovo slancio, fornendo una nuova road map verso i listini. Ma con cambiamenti sostanziali rispetto al progetto iniziale, finito impigliato nella rete delle regole europee.

IL PROGETTO ORIGINARIO

Con il Dpcm del 23 novembre 2015 il governo aveva in mente un’operazione decisamente meno articolata di quella messa a punto successivamente. E cioè la vendita in blocco del 40% della holding Ferrovie. L’operazione fu salutata come un altro passo verso quegli 8 miliardi posti dal governo a obiettivo finale delle cessioni, da impiegare per la riduzione del debito pubblico. Poi però qualcosa ha cominciato a scricchiolare fino all’annuncio del numero uno Mazzoncini che la quotazione slittava al 2017. Mercati nervosi e regole ancora poco chiare costrinsero il Tesoro a rinviare del tutto. Ma anche l’Europa ci mise del suo.

I PALETTI DELL’UE

La quotazione di una parte della holding infatti presentava fin da subito alcune complicazioni di natura normativa, visto che nel frattempo, Mazzoncini lo ha sottolineato alla presentazione del piano, quando ha parlato di alcuni paletti dell’Ue in materia di rapporti tra capogruppo e controllata, in particolare sulla distribuzione di dividendi verso la holding. Si tratta del cosiddetto quarto pacchetto ferroviario, approvato da Bruxelles nell’aprile del 2016 per dare una spinta alla concorrenza nel settore. Tra le misure presenti nel pacchetto, alcune “clausole stringenti su flussi finanziari all’interno dei gruppi integrati” con nuove norme sui prestiti infra-gruppo e divieto di prestiti tra gestore dell’infrastruttura e impresa ferroviaria”. In altre parole, nessuna garanzia per Fs di incassare profitti ragionevoli dalla vendita di una quota della holding. Di qui il cambio di rotta da parte di Tesoro e management, preoccupati anche dal fatto che forzare la mano con una simile strategia non avrebbe certo incontrato il favore del mercato. Da qui la messa a punto di un piano B.

COSA (E PERCHE’) ANDRA’ SUL MERCATO

L’idea di base, più articolata della prima ma necessaria ad aggirare le norme Ue, è spacchettare le attività Alta Velocità e Intercity, lasciando fuori il trasporto regionale, far confluire i due asset in una newco e quotarne il 30% entro la fine del 2017. In gioco entra dunque Trenitalia, cui fanno capo le tre divisioni appena citate. Nei piani di Mazzoncini, c’è quindi lo sbarco di Frecce e Intercity sui listini, (anche se non è escluso un ulteriore allargamento alla divisioni merci-cargo), in modo che i proventi dell’Ipo risultino corrisposti ad una società sottoposta. Ma perché proprio queste divisioni? Il motivo è presto spiegato. Oggi le divisioni Alta Velocità e lunga percorrenza generano un fatturato di 2,4 miliardi, quasi la metà dei ricavi complessivi di Trenitalia (5,5 miliardi). Non solo. Stando alle previsioni contenute nel piano appena presentato il fatturato delle due divisioni dovrebbe salire fino a 3 miliardi in 10 anni e con un ebitda previsto in crescita da 700 milioni a 1 miliardo. Insomma, quotare i “gioielli di famiglia“, significa avere probabilità più altre di attirare investitori alzando le chances di successo dell’intera operazione.

MENO GRUPPI INDUSTRIALI, PIU’ CITTADINI

Delineata la struttura della quotazione, restano da individuare i destinatari dell’offerta. Mazzoncini ha detto: “No ai gruppi industriali che possono entrare nel capitale”, perché il controllo del nuovo veicolo “rimarrà in mano a Fs”. Dunque, spazio “a cittadini, ai nostri dipendenti e al limite a qualche fondo istituzionale”, ha chiarito il manager. L’obiettivo di Ferrovie? Proteggere il gruppo da ingressi “ostili” in grado di intaccare un domani la compagine proprietaria dell’azienda.

IL FEELING (CORRISPOSTO) COL MEF

La strada intrapresa da Fs verso la Borsa piace comunque al ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan, azionista del gruppo. Prova ne è il suo tweet a caldo a poche ore dalla presentazione del piano, che  “pone le basi per una Ipo di successo. Privatizzare per noi vuol dire valorizzare”. D’altronde, poco prima era stato lo stesso ad Mazzoncini a parlare di “perfetto accordo anche con il ministro Padoan”.


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