L’inchiesta su eventuali collegamenti e aiuti ricevuti durante la campagna elettorale di Donald Trump da parte di Mosca evolve ormai a livello giornaliero. Uno dei protagonisti degli ultimi sviluppi è Devin Nunes, deputato trumpiano che guida la Commissione Intelligence della Camera, che (insieme, ma in maniera indipendente, alla gemella al Senato e all’Fbi) sta procedendo alle indagini attraverso varie audizioni di persone informate sui fatti. Nunes è coinvolto in una vicenda ancora da chiarire del tutto, che riguarda un’altra indagine quasi parallela della Commissione, e che potrebbe mettere in discussione il suo ruolo e i risultati che l’organismo che dirige sta producendo.
GLI INCONTRI
Motivo delle polemiche: Nunes avrebbe incontrato due funzionari dell’amministrazione alla Casa Bianca, e questi gli avrebbero mostrato in via confidenziale le prove che Trump e i suoi uomini erano finiti “incidentalmente” sotto intercettazione da parte dell’Fbi, durante la fase elettorale. Incidentalmente significa che il controspionaggio (che è curato dal Bureau) ha registrato le conversazioni tra loro e soggetti stranieri, probabilmente russi, attenzionati (dunque funzionari di paesi esteri, agenti dei servizi, e altre persone considerate da tenere sotto controllo quando si muovono sul territorio nazionale). Questa è una prassi operativa di sorveglianza legale, solo che le registrazioni intercettate andrebbero cancellate una volta appurato il danno incidentale: così non sarebbe andata. Può essere credibile Nunes che riceve informazioni dai membri dello staff di Trump su un’indagine che riguarda lo staff di Trump? I democratici ne chiedono la rimozione dal ruolo, in quanto non garantirebbe la terzietà. È troppo legato a Trump, dice Adam Schiff, controparte dem al ruolo di leader della Commissione.
L’AIUTINO A TRUMP
Sulla vicenda infatti c’è un grosso peso politico, perché quanto spifferato dalle fonti di Nunes, e poi rivelato dal deputato allo stesso Trump, è testimonianza a supporto di uno dei più grossi attacchi che Trump ha sollevato contro il suo predecessore Barack Obama, incolpato dal presidente di essere il macchinatore di un piano per metterlo sotto controllo durante la campagna elettorale, con cimici piazzate all’interno della Trump Tower di New York (il quartier generale di Trump-2016). Dopo aver ricevuto informazioni la sera prima, il 22 marzo Nunes ha dichiarato in una conferenza stampa organizzata di fretta che quanto detto da Trump poteva essere vero e potevano esserci state quelle intercettazioni incidentali – poi, nello stesso giorno, ragguagliò personalmente Trump, senza prima avvisare gli altri membri della commissione che presiede (come da prassi).
IL COMPLOTTO CHE NON C’È
Il complotto denunciato da Trump, mai preso troppo sul serio da nessuno che non sia trumpiano fermamente convinto, era stato due giorni prima disintegrato da una dichiarazione pubblica del capo dell’Fbi, James Comey, che seduto in audizione proprio davanti a Nunes disse che sia lui che il Dipartimento di Giustizia, da cui dipende, potevano smentire le parole del presidente: niente cimici, niente intercettazioni. Una circostanza unica la smentita del capo dei Federali al proprio commander in chief. Comey in quell’occasione per la prima volta rivelò anche che l’Fbi stava indagando su possibili collusioni tra Trump e Mosca.
LE FONTI
Giovedì 30 marzo, il New York Times ha dato per primo informazioni su chi potrebbero essere gli uomini del presidente che hanno aiutato Nunes nell’inchiesta. I due “specie di whistle-blower”, come Nunes li aveva chiamati, secondo quattro funzionari dell’amministrazione sentiti dal Nyt sono Ezra Cohen-Watnick, il senior director per l’intelligence presso il Consiglio di Sicurezza Nazionale (un ex ufficiale dell’intelligence militare amico personale dall’ex capo dimissionario Michael Flynn, che lo aveva scelto come aiutante già nello staff elettorale di Trump) e Michael Ellis, avvocato che si occupa di questioni di sicurezza nazionale per lo White House Counsel (lo staff legale della Casa Bianca) ed ex collaboratore della Commissione che Nunes presiede. Quegli stessi funzionari hanno dichiarato che Cohen-Watnick appena dopo le dichiarazioni di Trump sullo spionaggio di Obama si è messo a scavare nei report di intelligence per dare sostegno alla tesi del presidente (che pare invece fossero frutto di informazioni stampa diffuse da alcuni media ultra-conservatori) – altre fonte di altri media americani sostengono che passare le informazioni sia stato Ellis.
LA DIFESA DI NUNES
Nunes in un’intervista con Bloomberg aveva detto che la sua fonte era un uomo dell’intelligence, e non dello staff della Casa Bianca, ma poi giovedì ha cambiato versione dicendo, sempre a Eli Lake di Bloomberg, che aveva usato la Casa Bianca per avere conferme su quello che già sapeva. Nel frattempo il suo addetto stampa a proposito delle rivelazioni del Nyt ha detto di non poter confermare, e il portavoce della Casa Bianca ha chiesto di spostare l’attenzione sul contenuto e non sul chi fossero le fonti. Nunes ha anche detto che quanto accaduto non è illegale, se non fosse che nei report delle intercettazioni circolate tra i funzionari di Obama con nulla osta di intelligence è reperibile il nome di alcuni intercettati, cosa che normalmente è coperta da omissis.
I DUBBI
Ma è evidente che chi ha passato le informazioni è un aspetto di primo piano, perché l’idea di fondo che c’è dietro a tutta la vicenda è che a Nunes siano stati dati quei leaks sia per sostenere la tesi di Trump, sia per sottrarre la sua attenzione (e quella dell’opinione pubblica) dall’inchiesta sulle potenziali collusioni tra Russia e Trump. Coincidenze: il 15 marzo, durante un’intervista con Tucker Carlson di Fox News, il presidente aveva anticipato che presto “delle prove” avrebbero dato sostegno al suo tweet. Inoltre questo giro di informazioni parallele ha portato l’inchiesta della Camera a una fase di stallo – tutte le audizioni sono state sospese – e mercoledì il Senato ha dichiarato pubblicamente che l’indagine della propria Commissione Intelligence non ha niente a che fare con quella dell’altra ala del parlamento. Giovedì la Casa Bianca, attraverso l’avvocato Don McGhan, ha fatto sapere che i membri delle Commissioni avranno la possibilità di consultare certi documenti non riservati che dimostrano che gli uomini di Trump erano sotto controllo. Non è chiaro se si tratti degli stessi documenti già visti da Nunes. Schiff s’è chiesto perché questo invito è uscito esattamente lo stesso giorno in cui sono uscite le rivelazioni del Nyt sulle due fonti interne di Nunes.
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