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Tutti i rischi dei Pir

Raccolta boom per i Pir. Hanno sicuramente superato la soglia dei 2 miliardi – stimata per l’intero anno – in soli quattro mesi. I piani individuali di risparmio, prodotti di investimento che investono per almeno il 70% in azioni o obbligazioni di aziende italiane o con stabile organizzazione in Italia, quotate o non, hanno avuto un successo spropositato. Il dato ufficiale pubblicato da Assogestioni per il primo trimestre indica un flusso in entrata di 1,1 miliardi sui 15 prodotti disponibili a fine marzo. Nel frattempo i prodotti sono diventati 44 e alcuni tra i soggetti più attivi hanno dichiarato flussi in entrata da capogiro: 700 milioni per Mediolanum e 800 per Eurizon. Inevitabilmente il governo ha alzato le stime di raccolta a cinque anni da 18 a 50 miliardi. E nel frattempo, il listino delle mid-cap italiane è cresciuto di oltre il 25%, il doppio rispetto all’omologo europeo. Tanto che qualcuno, come Citigroup, già ad aprile ha paventato il rischio di una bolla.

Le opinioni sono controverse. Ma dal coro di chi proclama il successo senza dubbi dei piani individuali di risparmio, si inizia a levare qualche voce contro. Come quella di Salvatore Gaziano, direttore investimenti di SoldiExpert Scf, che non nega che i Pir “presentino alcuni vantaggi, primo fra tutto quello di indirizzare il risparmio verso le piccole e medie imprese italiane con il risultato – ci si auspica – di stimolare l’economia nazionale”, ma sottolinea anche quelli che sono i rischi insiti nello strumento e pressoché nascosti. “Il sex appeal dei Pir è soprattutto fiscale – continua Gaziano – Una musica per le orecchie di molti risparmiatori italiani che devono convivere con un sistema di tassazione fra i più complicati e astrusi del pianeta, con una pressione fiscale elevata, e che di fronte ai “benefici fiscali” sono più facilmente disposti a mettere la firma sulla linea tratteggiata, costi quel che costi. Anche se magari i contro sono superiori ai pro”.

Insomma, se i vantaggi sono chiari e trasparenti, altrettanto non si può dire dei rischi che lo stesso Gaziano spiega nel dettaglio. Vale la pena ricordare che i Pir raccolgono investimenti i cui proventi e utili sono totalmente esenti dall’imposta del 26% in caso di capital gain ed esenti dall’imposta di successione. Nei Pir possono investire le persone fisiche, con un massimo di 30 mila euro l’anno, per un totale complessivo massimo di 150 mila euro. “I Pir sono quindi dei contenitori giuridici che possono assumere varie forme (fondi, conti titoli, gestioni patrimoniali, prodotti assicurativi tipo unit linked o perfino pensionistici, come si richiede ora a gran voce) – spiega Gaziano – e contenere diverse forme di prodotti finanziari (azioni, obbligazioni, Etf, depositi e conti correnti) purché vengano rispettate, nella composizione dei portafogli, le limitazioni previste dalla legge”. Ovvero il famoso 70% dedicato alle aziende italiane, con il divieto di concentrare oltre il 10% del patrimonio in un singolo titolo.

“Se amate i titolini, ovvero small e medium cap, e avete uno spirito patriottico viene subito voglia di sottoscrivere un Pir e capire subito dove mettere la firma – continua Gaziano – Di questo 70%, il 30% (quindi il 21% dell’investimento complessivo) deve essere composto da società non presenti nell’indice di Borsa Italiana Ftse Mib 40, ovvero società che fanno parte del Midex o dello Star e perfino società non quotate. Un vincolo che ha lo scopo di far affluire il denaro anche su aziende medio- piccole, ad esempio quelle quotate all’Aim, il mercato di Borsa Italiana dedicato alle piccole e medie imprese. Ma finora vi abbiamo raccontato solo il lato “buono” di questo strumento. C’è anche un lato “brutto” e uno “cattivo” che andrebbero presi in considerazione prima di investire su questo contenitore”.

Quali sono questi lati oscuri? “Per fare un Pir, dovete per forza rivolgervi a un intermediario che vi venda un prodotto conforme o potete farvelo anche direttamente rispettando i requisiti della normativa? Teoricamente no, perché potreste chiedere alla vostra Banca di mettere i titoli Pir “compliant”, ovvero “conformi” – cioè gli strumenti finanziari che posseggono i requisiti richiesti -, all’interno di un deposito titoli che vi consenta di usufruire delle agevolazioni previste. Un vero e proprio conto titoli dedicato al Piano Individuale di Risparmio. Ma al momento, nonostante questa possibilità sia prevista dalla normativa, non è praticamente possibile il fai da te. Se in banca chiedete di crearvi un conto titoli che vi consenta di usufruire della nuova normativa sui Pir sui titoli che volete acquistare direttamente rispettando i requisiti previsti, vi ascolteranno come un marziano”, dice Gaziano. Il mercato, tuttavia, pullula di strumenti conformi e non dovrebbe esserci alcun problema di scarsità dell’offerta. Il problema, semmai, è sui costi: “In base ai primi prodotti Pir lanciati sul mercato il costo di gestione è di circa l’1,75% annuo e un discreto numero di questi fondi propone anche delle commissioni di ingresso massime del 2% oltre a commissioni di performance – spiega Gaziano – è molto importante sapere che l’investimento in Pir, per godere dell’esenzione fiscale sugli utili, va mantenuto per almeno 5 anni. Se acquistate un prodotto di questo tipo e vi pentite e volete smantellarlo, allora ritornate alla casella di partenza e perdete il beneficio fiscale. Per assurdo, ma non troppo, per risparmiare il 26% di capital gain grazie a questo “giochino” potrebbe capitare anche che, se le cose vanno bene e l’investimento si rivaluta, quanto non pagate di tasse andrà a remunerare la vostra banca.

Vantaggi economici per voi al netto di costi e benefici: nessuno. Un esempio? Se un capitale di 100 si rivaluta in 5 anni del 25% grazie al Pir potreste risparmiare un 6,5% di tassazione che altrimenti porterebbe il vostro rendimento netto al 18,5% (non paghereste il 26% di tassazione sul capital gain). Ma per godere di questo vantaggio la vostra banca o assicurazione potrebbe chiedervi di pagare in questo quinquennio un 10% di costi commissionali! Risultato: per pagare meno tasse ne spendete di più in costi commissionali, che fanno a favorire la banca e i suoi venditori”.
Naturalmente nessuno può sapere quale sarà il rendimento dei fondi “Pir compliant” e, quindi, fare delle simulazioni serie è impossibile. In 5 anni a Piazza Affari le azioni small e medium cap possono moltiplicare il proprio valore per 2 o anche perdere il 70% se si guarda all’andamento passato. E lo stesso Gaziano ama investire in small cap “ma con un approccio flessibile e attivo che significa che in certi momenti il miglior modo per essere investiti è essere disinvestiti e avere anche il 100% di liquidità – precisa – E nel caso dei fondi d’investimento tutta questa flessibilità o non è possibile o non l’abbiamo vista in questi lustri da parte di molti gestori italiani, se si analizzano i risultati alla prova del benchmark”.

E i contro dei Pir non si limitano al costo: “l’investimento sulle azioni italiane non va mai eccessivamente sovrappesato, poiché presentano una forte volatilità e il nostro Paese non è certo fra i luoghi più tranquilli dove investire. Basti pensare che l’indice principale di Piazza Affari rispetto ai massimi del 2007 è tuttora sotto del 30% (dividendi compresi)”. Anche i cinque anni di detenzione sono rischiosi, secondo l’esperto perché “non è scritto da nessuna parte che fra 5 anni il valore del fondo d’investimento sia superiore a quello attuale”. e anzi, “la storia dei fondi azionari Italia small e medium cap in confronto con il benchmark di categoria su orizzonti temporali medio lunghi, dimostra come sia raro trovare in Italia dei gestori in grado di battere in modo consistente il mercato”. Insomma, i Pir possono essere una grande occasione, ma vanno maneggiati con cura e soprattutto compresi.

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