Fonti dell’amministrazione americana hanno raccontato al giornalista americano Mike Allen che giovedì, durante una riunione a porte chiuse, la Casa Bianca avrebbe deciso di applicare dazi sulle importazioni di acciaio.
Il meeting si sarebbe svolto nella Roosevelt Room della Casa Bianca, alla presenza del presidente Donald Trump, del suo vice Mike Pence e di una manciata di collaboratori più intimi che Allen descrive come “America First advisers”.
La penalizzazione, che dovrebbe essere del 20 per cento secondo le notizie finora note (e rientrare nei poteri presidenziali concessi dalla sezione 232 del Trade Expansion Act del 1962), potrebbe anche estendersi su altri prodotti, come l’alluminio e i semiconduttori. Scrive Allen: all’interno della stanza c’era una posizione di 22-3 contro la proposta, “ma siccome uno di quei tre d’accordo era proprio il presidente” la questione s’è chiusa a favore, anche “se decisioni definitive non sono state prese”. Il piano è stato proposto dal segretario al Commercio Wilbur Ross e dal trade policy director Peter Navarro (e sostenuta dalle fazioni più aggressive della West Wing).
L’obiettivo evidente è quello di contrastare con il protezionismo una politica – di fatto violenta – della Cina. Maurizio Sgroi su queste colonne ha spiegato con i numeri che l’acciaio è uno dei terreni di scontro tra le due più grosse economie del mondo: sintesi all’osso dell’analisi, gli “Usa consumano più acciaio di quanto ne producono, malgrado potrebbero produrne di più. Perché non lo fanno? Probabilmente perché conviene loro importarlo” (anche dalla Cina, che tiene i prezzi molto bassi, al di sotto di una sogli di competitività). Ad aprile la Casa Bianca ha ordinato una revisione analitica del dossier-acciaio, che è uno di quei prodotti che pesa sull’enorme scompenso commerciale da oltre 300 miliardi di dollari che gli Stati Uniti soffrono con i cinesi e che Trump vorrebbe assottigliare.
Ciò nonostante Jared Kushner e i meno nazionalisti tra il potere trumpiano si sono opposti a procedere con i dazi, perché avviare una guerra commerciale del genere contro Pechino potrebbe scombussolare il mercato globale e colpire direttamente paesi alleati come la Germania, il Regno Unito, il Canada e il Messico. Ma, secondo le informazioni di Allen, sono tutti usciti dalla riunione convinti che i dazi sarebbero stati ufficializzati da lì a breve.
Da tempo Trump minaccia misure audaci contro la Cina, ma il confronto finora era stato messo in sordina dalle strette di mano tra i due presidenti che hanno segnato l’avvio di un colloquio bilaterale per valutare come risolvere insieme le relazioni economiche. Trump cercava con Pechino un avvicinamento, portandolo al confronto sulla crisi nordcoreana. La frustrazione dell’amministrazione per l’assenza di contatti proficui con la Repubblica popolare è venuta fuori giovedì su questo argomento-test, quando il Tesoro ha annunciato di aver messo sotto sanzioni una piccola banca cinese, la Bank of Dandong, colpevole di facilitare i traffici di Pyongyang. Sempre giovedì la portavoce del dipartimento di Stato, Heather Nauert, ha fatto sapere che è stata approvata una commessa d’armamenti americani da 1,4 miliardi di dollari, diretta a Taiwan, che la Cina disconosce e considera una provincia ribelle. I dazi sull’acciaio sono il terzo segnale in pochi giorni che la luna di miele tra Trump e Xi Jinping iniziata a Mar-a-Lago in aprile sta praticamente finendo.