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Come procede il libero commercio nell’era Trump?

Trump

Circa una settimana fa si chiudeva il G20 di Amburgo, che ha calato il sipario con un comunicato finale che plaude al multilateralismo commerciale, non senza castigare il dumping commerciale asiatico. L’immagine che ne è scaturita è quella di una forte divisione sugli accordi di libero scambio, difesi dall’Ue e ritenuti dannosi da Trump. Il presidente Usa da quando è entrato alla Casa Bianca ha tirato fuori gli Stati Uniti dal Tpp, e ha abbandonato quasi del tutto i negoziati del Ttip.

Mercoledì al Centro Studi Americani si è fatto il punto sulle relazioni commerciali UE-USA nell’era Trump nell’incontro “The future of global trade. Which scenarios for a new EU/US dimension?”. Ad animare il dibattito, tra gli altri, il deputato di Direzione Italia Daniele Capezzone, il sottosegretario agli Esteri Benedetto della Vedova, e l’ospite d’onore, l’ex ambasciatore Usa a Bruxelles Anthony Luzzatto Gardner (qui la sua intervista a Formiche.net).

In un documento pubblicato la settimana scorsa Luigi Paganetto, presidente della Fondazione di Economia Tor Vergata, prendeva atto, dati alla mano, delle nuove misure protezionistiche in preparazione a Washington. Secondo uno studio del Peterson Institute for International Economics, scrive Paganetto, “la percentuale di US imports coperte da tariffe speciali è destinata ad aumentare dal 3.8 al 7.4 per cento” mentre “l’ammontare di US imports dal resto del mondo soggetto alle nuove restrizioni dovrebbe triplicarsi, dal 2.2 al 6.4 per cento”. Come si deve porre l’Unione Europea avanti all’irrigidimento delle politiche commerciali americane? “L’Europa non può più fare affidamento sugli USA come una volta”, chiosa lo statunitense Luzzatto Gardner, che ha lasciato il posto di capo missione diplomatica con l’insediamento di Trump a gennaio. Una posizione in linea con il “fare da sé” invocato da Angela Merkel, la Cancelliera tedesca che vuole (ri)porsi a capo della contropartita europea, a cominciare dal commercio. E in effetti l’UE ha dimostrato di seguire quella linea, quando il 4 luglio a Bruxelles ha firmato con il Giappone di Shinzo Abe un accordo di libero scambio di proporzioni mastodontiche, preparato peraltro da tre anni.

“L’Ue fa benissimo a firmare accordi di libero scambio per riempire un vuoto” ribadisce Gardner, che non ha dubbi: “Chi sarà il perdente? L’export statunitense”. L’ambasciatore si dice preoccupato del nuovo corso, su cui Trump non lascia spazio a interpretazioni: il Tycoon, ricorda Gardner, “ha detto che vivrà secondo due regole: compra americano, assumi americano”, e poi ancora di riservarsi “il diritto di ignorare le regole del Wto quando le sue decisioni non ci piacciono”. Né Trump ha fatto mistero di quel che pensa dell’Ue: “Un’organizzazione commerciale, un veicolo per il potere tedesco, un’organizzazione burocratica disfunzionale”, la lista di appellativi sarebbe troppo lunga da elencare. Per il diplomatico, le bordate del presidente al libero scambio sono frutto di una frustrazione per lo stallo delle riforme: “Ora che è bloccato sulla politica interna, dove guarderà per convincere i suoi elettori che sta mantenendo le promesse? Sa che il suo elettorato lo amerà perché pensa che stia proteggendo i posti di lavoro americani”.

Più ottimista sul “new deal” commerciale americano il sottosegretario agli Esteri Della Vedova, per cui “nella prospettiva italiana, gli scambi commerciali fra Stati Uniti e Ue sono eccellenti”. Tutto sommato, ricorda l’esponente del governo Gentiloni, c’è un altro decisivo accordo di libero scambio che Bruxelles, seppur a fatica, sta negoziando con il Canada di Justin Trudeau. Si tratta del Comprehensive Economic and Trade Agreement (CETA), che lo scorso autunno aveva rischiato di arenarsi definitivamente per il veto di una piccola regione del Belgio, la Vallonia. “Un accordo di nuova generazione, che può settare nuovi standard da cui difficilmente l’UE potrà tornare indietro” rivendica il sottosegretario, tranquillizzando gli imprenditori italiani nell’agroalimentare, perché nell’accordo “sono riconosciute 41 denominazioni geografiche protette”. Più difficile resuscitare il TTIP fra Bruxelles e Washington, in stallo già dalla scorsa estate. E qui Della Vedova ha qualcosa da ridire sulle ostruzioni italiane alla ratifica: “se volevamo fornire un alibi alle tante constituencies protezioniste europee ci siamo riusciti, non credo che la Coldiretti e la CGIL potessero mai sperare di avere questa sponda di propaganda dall’altra parte dell’Atlantico”.

Daniele Capezzone, deputato di Direzione Italia, non ha abbandonato la speranza che i negoziati del Ttip e del Ceta ripartano al più presto. Lui che si definisce orgogliosamente “liberale e liberista” ha invitato a “prendere il coraggio a due mani e non dare mai nulla per scontato, attivare delle campagne di informazione e conoscenza, non giocare in difesa, perché i nemici del mercato non vanno mai sottovalutati”. Ma soprattutto a smontare i luoghi comuni, come quello di una Cina globalizzata che invece non apre il suo mercato, mentre “a Davos l’establishment si è spellato le mani per incoronare Xi Jinping come campione della globalizzazione”. Né, ammonisce Capezzone, gli italiani devono fare troppo affidamento sulle politiche economiche del tanto acclamato Emmanuel Macron, che quando “Fincantieri arriva in Francia, alza la paletta con su scritto non si passa”. Il suo appello per l’Ue è quello di pensare alla difesa comune assieme alla Nato, alla defiscalizzazione, piuttosto che criticare Washington. Altrimenti si rischia che “nei convegni ci si preoccupi di dire peste e corna di Trump, e poi dal lunedì al venerdì si perseguono politiche che non fanno bene ai nostri mercati”.



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