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Tutte le divisioni (e le viltà) degli Stati europei su migranti e terroristi

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Gli attentati di Parigi del 2015 e quello alla metro di Bruxelles del marzo di un anno fa. Il terrorismo che colpisce al cuore il Vecchio Continente, la paura tra i cittadini, la prima risposta unitaria all’insegna della solidarietà nel grande corteo di Parigi dell’11 gennaio 2015. A cui sono seguite, però, tensioni e divisioni interne, con gli interessi nazionali sempre più prevalenti rispetto a quelli comuni, a testimoniare ed enfatizzare ancora una volta lo stato di crisi che sta vivendo l’Europa.

Ho l’impressione che questi episodi – passato il momento della commozione – abbiano prodotto più tensione che solidarietà: nel complesso ne abbiamo tratto lezioni negative“, ha commentato l’ex presidente del Consiglio Romano Prodi, che ieri al Centro Studi Americani ha presentato il libro scritto dalla corrispondente di Sky Tg24 Giovanna Pancheri (qui un estratto del volume) dal titolo “Il buio su Parigi” (edito da Rubbettino). Con il Professore c’erano anche il ministro dell’Interno Marco Minniti, l’ambasciatore del Marocco Hassan Abouyoud e Dario Solesin, il fratello di Valeria, la giovane italiana uccisa dai terroristi durante l’attentato al Bataclan di Parigi. Un dibattito moderato dal direttore di Sky Tg24 Sarah Varetto.

L’Europa dunque, oggi più che mai in difficoltà, ma chiamata a ritrovare il prima possibile il filo di un percorso comune. “L’Unione europea è nata per affrontare unita e solidale le grandi sfide: contro il terrorismo nessuno ce la può fare da solo. E lo stesso vale per le altre sfide, a partire dal tema della gestione dei flussi migratori“, ha sottolineato Minniti. Che non ha esitato a muovere critiche anche dure verso Bruxelles, con cui nelle ultime settimane ha ingaggiato un durissimo braccio di ferro sulla questione dei migranti: “O l’Europa sarà in grado di muoversi unita e solidale oppure perderà se stessa“. E poi ancora l’affondo a proposito della difesa dei confini, che molti partner europei stanno sigillando per impedire ai migranti sbarcati in Italia di arrivare nel loro territorio: “Discussioni a momenti surreali, un campanello d’allarme molto severo“.

E che la situazione sia scivolata di mano alle cancellerie del Vecchio Continente lo ha confermato anche Prodi, per il quale solo con la politica sarà possibile sconfiggere definitivamente il terrorismo: “Ce lo porteremo avanti per molto tempo, finché non si farà un discorso politico diverso“. Che comprenda, in primis, uno sforzo assoluto sul versante dell’integrazione anche perché – come ha osservato l’ex presidente della Commissione europea e come emerge anche dal libro di Pancheri – la maggior parte dei terroristi è rappresentata da cittadini europei di seconda o terza generazione. Ma anche una differente politica estera da parte dell’Occidente, chiamato a creare un clima di rispetto reciproco e non di contrapposizione con i Paesi del mondo arabo: “Nel Mediterraneo c’è stato un passo indietro impressionate. La rottura che si è consumata negli ultimi anni ha alimentato una tensione evidente la quale ci fa ritenere difficile che il terrorismo possa finire anche con la sconfitta di Isis“.

Una versione confermata da Minniti che sul punto non ha sfoggiato alcun ottimismo di facciata: “Nel momento in cui libereremo Raqqa, il terrorismo non cesserà: dovremo confrontarci con questa sfida ancora per un po’ di tempo“. D’altronde – ha evidenziato il ministro dell’Interno – lo Stato Islamico può ancora contare sulla sua legione straniera: “Li chiamiamo foreign fighters ma in realtà si tratta di 27.000 persone provenienti da 100 diversi Paesi del mondo che in questi anni hanno deciso di combattere al fianco dell’Islamic State“. 5.000 in totale gli europei, in molti casi già rientrati nei loro Paesi d’origine per via della sconfitta sul campo che Isis sta subendo in Medio Oriente. Terroristi che potrebbero decidere di colpire in qualsiasi momento: “Per l’Unione europea è un problema gigantesco cui bisogna rispondere in modo unitario. Nessuno Stato ce la può fare da solo“.

Tre in questo senso le priorità individuate da Minniti: l’attività di intellingence “che consente di ricostruire lo scenario“, il lavoro sull’integrazione – a proposito del quale il ministro dell’Interno ha citato a titolo di esempio il patto raggiunto tra il governo e l’Islam italiano – e “il controllo del territorio“, come dimostra quanto avvenuto lo scorso dicembre a Sesto San Giovanni dove l’attentatore di Berlino, Anis Amri, fu individuato grazie alla semplice ma fondamentale attività di controllo di una pattuglia della Polizia di Stato. Azioni da mettere in campo per cercare di limitare i danni di quella che rimane una “minaccia a grado di prevedibilità zero“. “Se qualche anno fa mi avessero detto che un terrorista avrebbe rubato un camion pieno di birre e che lo avrebbe utilizzato per fare un attentato in un centro commerciale – com’è accaduto a Stoccolma -, avrei avuto difficoltà a crederci“, ha spiegato Minniti. Il quale si è poi rivolto a Dario – il fratello di Valeria Solesin – con parole cariche di ammirazione e riconoscenza: “Quella tragedia ha rappresentato uno spartiacque per il nostro Paese: si è capito che si poteva rispondere al terrorismo senza farsi prendere dai fantasmi della paura. Se ce l’hanno fatta i genitori e il fratello di Valeria che hanno perso la cosa più cara, ce la dobbiamo fare anche noi“. Un messaggio a quelli che il ministro ha definito gli “apprendisti stregoni della paura“, nient’affatto a disagio nel maneggiare politicamente questo sentimento: “Non fanno un buon servizio alla democrazia“.

Parole che hanno preceduto l’intervento di Dario Solesin, accompagnato dal lungo e commosso applauso del Centro Studi Americani: “La mia famiglia ed io vogliamo che Valeria venga ricordata come un simbolo di pace e non come una vittima di guerra“. Se così sarà, molto dipenderà dall’Europa.

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