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Trump si fa intervistare dal New York Times, il Russiagate “domina la conversazione”

Mercoledì 19 luglio il New York Times ha pubblicato un’intervista al presidente americano Donald Trump, registrata da tre giornalisti di punta del giornale, Peter Baker, Michael Smith e Meggie Haberman, nello Studio Ovale. La cosa è già notevole di per sé, perché il Nyt è uno degli obiettivi preferiti degli attacchi di Trump contro i media che, a dir suo, producono “fake news“, ovvero come lui inquadra ogni notizia che non è troppo compiacente con la presidenza o con l’amministrazione.

UN MESSAGGIO AI FANATICI

Il fatto che Trump abbia deciso di farsi intervistare da tre giornalisti che in passato hanno firmato articoli su storie scomode per la Casa Bianca indica che in fin dei conti quelle sparate del presidente sono più che altro propaganda, e che l’autorevolezza del Nyt è un fatto certo e a sé stante – e questo è un messaggio diretto a tutti i fanatici trumpiani che si sperticano in prese di posizione contro il Times o CNN, Washington Post, NBC e così via, soltanto perché Trump lo scrive in un tweet (il messaggio dice: quelle sparate sono solo un’esca di distrazione, perché poi alla fine il presidente crede talmente a quei media al punto che le sue interviste non le rilascia a Breitbart, il sito prototrumpista, ma a loro).

IL RUSSIAGATE DOMINA LA CONVERSAZIONE

Altro aspetto interessante: nonostante il tentativo strategico di sgonfiare il Russiagate, l’inchiesta sulle potenziali collusioni tra le interferenze russe alle presidenziali e il comitato elettorale di Trump è stata al centro dell’intervista. Per carità, dicono i giornalisti del Nyt, si è parlato anche di altro (riforma sanitaria, la diminuzione del livello di disoccupazione, gli ottimi risultati di Wall Street), il presidente era “rilassato e sul pezzo” e ha mostrato anche “il suo lato più piacevole” quando ha scherzato sulle sue strette di mano, però “l’indagine ha dominato la conversazione” e “non ha lasciato dubbi sul fatto che l’inchiesta rimane un punto doloroso”.

L’ATTACCO A SESSIONS

E Trump non s’è tirato indietro a dichiarazioni piuttosto rilevanti. Per esempio, ha attaccato il procuratore generale Jeff Sessions: Sessions ha deciso mesi fa di ricusarsi dall’inchiesta perché su di lui è uscita (sui giornali) una storia controversa a proposito di un’audizione in Senato in cui avrebbe mentito sui propri contatti con i russi. Sessions avrebbe parlato durante il periodo della campagna elettorale con l’ambasciatore russo al centro del Russiagate, Sergei Kislyak, e non avrebbe rivelato l’incontro ai senatori che lo stavano esaminando: per questo ha deciso di fare un passo indietro. Trump dice ai giornalisti del Nyt che se avesse saputo prima dell’intenzione di ricusarsi da parte di Sessions – che è sempre stato un suo sostenitore/alleato fin dalla campagna elettorale – gli avrebbe detto “grazie Jeff, ma non ti porto con me”: la mossa è stata “ingiusta verso il presidente” dice Trump, che ammette di non essere stato avvertito prima.

ANCORA CONTRO COMEY

Trump ha anche attaccato di nuovo James Comey, l’ex capo dell’Fbi da lui licenziato (informalmente) perché stava spingendo troppo l’inchiesta. Il presidente dice che quando Comey lo avvisò che circolava tra le intelligence quel poco solido dossier lurido raccolto su di lui da un ex spia inglese – Comey lo fece perché temeva che potesse uscire sulla stampa prima che Trump, ai tempi ancora “presidente eletto”, ne venisse a conoscenza –, l’intenzione del capo del Bureau era ricattarlo: “Licenziandolo ho fatto un grande piacere agli americani”. Poi è passato su Robert Mueller, lo special consuel che il dipartimenti di Giustizia (guidato da Sessions) ha nominato per coordinare l’indagine: coordina un ufficio pieno di conflitti d’interesse, dice Trump, e sottolinea che comunque per il momento lui non è sotto inchiesta per intralcio alla giustizia e non ha mai avuto intenzione di esautorare Mueller – come invece sostenevano alcune notizie del mese scorso –, però alla domanda se l’apertura da parte di Mueller di fascicoli riguardo alle connessioni degli affari personali di Trump e della sua famiglia in Russia avesse passato una “red line”, il presidente ha risposto “direi di sì”. Poi ha attaccato Jill McCabe, moglie del vicario di Comey alla guida dell’Fbi: ha conflitti di interessi pure lei, dice Trump, perché nel 2015 ha ricevuto migliaia di dollari come candidata al Senato di stato dalla governatrice della Virginia, amica dei Clintons.

L’INCONTRO CON PUTIN E LE ADOZIONI

Trump ha anche parlato del secondo incontro con il russo Vladimir Putin avuto durante il G20 di due settimane fa. È stato proprio il Nyt a scrivere per primo di una lunga conversazione solitaria avuta dai due presidente da soli, presente soltanto un interprete del Cremlino. Trump ha smontato le ipotesi dietro a questo atteggiamento sospetto: ha detto che è andato da quella parte del tavolo per parlare con sua moglie Melania, che era seduta vicino a Putin, e a quel punto ha scambiato una “piacevole” conversazione di nemmeno “15 minuti” con il presidente russo, durante la quale hanno parlato anche delle adozioni di bambini russi negli Stati Uniti (sono sottoposte a sanzioni da parte di Mosca dal 2012, dopo che gli americani accusarono i russi di violare i diritti umani). Le adozioni sono state pure l’argomento di facciata dell’incontro tra l’avvocatessa russa con i papaveri del comitato Trump del giugno 2016. Il Nyt ha fatto un grande scoop sulla vicenda, portando Don Jr, il figlio maggiore del presidente, ad ammettere pubblicamente che durante quel meeting si era in realtà parlato in realtà di un’offerta di documenti compromettenti sul conto di Hillary, passati ai Trumpers dalla Russia. Don Jr, Jared Kushner e l’ex capo della campagna elettorale Paul Manafort testimonieranno su questo la prossima settimana davanti a due della commissioni del Senato che indagano il Russiagate.

 

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