“Prendiamo l’impegno solenne a lavorare per l’organizzazione di elezioni presidenziali e parlamentari non appena possibile a partire dal 25 luglio 2017, in cooperazione con le istituzioni coinvolte e con il sostegno e sotto la supervisione delle Nazioni Unite”, è questo il passaggio nevralgico del comunicato congiunto (anticipato dall’Ansa) con cui si chiude il vertice francese sulla Libia.
Martedì il presidente francese Emmanuel Macron ha ospitato al Petit Château (o La Celle), residenza per incontri di alto profilo del ministero degli Affari esteri immersa nella campagna suburbana parigina, un rilevante faccia a faccia sulla Libia; uno di quelli realmente operativi perché ha messo seduti al tavolo di confronto i due leader in lotta e non soltanto fumose delegazioni. Il premier designato dal governo onusiano, Fayez Serraj, e il suo più forte oppositore, il generale Khalifa Haftar, hanno avallato la bozza costruita dalla Francia per mediare un accordo di pace che possa aprire la strada a future elezioni (da tenersi entro il prossimo anno). Prima Macron ha avuto incontri separati, poi s’è seduto a un tavolo con entrambi i leader – presente anche Ghassan Salamé, il libanese che ricopre il ruolo di delegato Onu per la crisi (un professore universitario in Francia).
Libye et France ont destins liés. Pour une solution pacifique durable, arrivée de Fayez Sarraj, Premier Ministre libyen. pic.twitter.com/eUZhc4pLLz
— Emmanuel Macron (@EmmanuelMacron) 25 luglio 2017
L’Eliseo sposa, formalmente da maggio, una linea inclusiva nei confronti di Haftar che già veniva sostenuta dagli ambienti militari. La continuità sta nella persona di Jean-Yves Le Drian, già ministro della Difesa che aveva progettato di scavalcare il sostegno diplomatico pensato dal governo francese unicamente per il processo dell’Onu con l’invio di aiuti militari non ufficiali ad Haftar per combattere le milizia islamiste (e baghdadiste) di Bengasi. Ora spinge la posizioni di Parigi dagli Esteri, nuovo ruolo nel gabinetto macroniano, e chi ne esce rafforzato dei due fronti intralibici sembrerebbe Haftar.
L’interesse di Macron per la Libia profuma di geopolitica: i paesi prossimi, come la Tunisia e l’Algeria, ma anche a sud nel Sahel (dove l’Italia ha chiuso un accordi di stabilizzazione tra le milizie locali), sono aree di influenza francese, e per questo Parigi cerca stabilità. Più sfumato l’atteggiamento nei confronti dell’emergenza migratoria, da leggere in un’ottica più ampia del nazionalismo europeista del presidente francese: è una crisi problematica per l’Europa, dice Macron, ma soprattutto crea scenari critici ai confini della Francia. L’opportunità di mettere il proprio nome sulla strada di rappacificazione è inoltre un’occasione ottima per sottolineare il ruolo centrale che il presidente francese vuole intestarsi nelle dinamiche internazionali. E non va sottovalutato che il sostegno ad Haftar è stato offerto finora da Egitto e Emirati Arabi Uniti, due paesi che sono ottimi clienti degli armamenti militari francesi, ha sottolineato l’analista Mattia Toaldo sul Fatto Quotidiano di oggi.
“Oggi la causa della pace in Libia ha fatto un grande progresso”, ha commentato Macron mentre promette di fare “di tutto per accompagnare i vostri sforzi nella riconciliazione e per lottare con efficacia contro il terrorismo”. L’accordo segue la linea dell’ultimo vertice tra i due leader, tenutosi ad Abu Dhabi, ma si presenta con diversi aspetti irrisolti (la separazione tra governo e forze armate, l’inquadramento di alcune milizie tripoline all’interno del sistema amministrativo, la stessa forma-stato). L’instabilità libica è segnata dalla presenza di diversi attori che potrebbero minare l’accordo francese. Inoltre non va sottovalutato che nonostante nell’agosto scorso lo Stato islamico abbia perso il controllo della roccaforte locale Sirte, i baghdadisti sono dispersi e rappresentano un minaccia strisciante.