Martedì il presidente francese Emmanuel Macron ha ospitato in una tenuta per incontri del ministero degli Esteri i leader libici in lotta, l’onusiano Fayez Serraj e l’oppositore Khalifa Haftar ottenendo la firma su un protocollo d’intenti per la pacificazione e l’apertura di una fase elettorale. Macron ha riportato la Francia al centro della questione, in parte scavalcando l’Italia, dice a Formiche.net Arturo Varvelli, Head of Terrorism Research Program dell’Ispi, ma in Libia restano in piedi le stesse problematiche che c’erano prima del vertice parigino.
Possiamo dire che Macron ha ottenuto un ottimo risultato oppure c’è da stare più cauti?
Da una prospettiva francese il risultato è molto buono. La Francia è tornata centrale sulla questione. L’incontro sancisce alla comunità internazionale e al nuovo inviato speciale delle Nazioni Unite, il professore libanese con trascorsi a Science Po Gassam Salamè, che gli interessi francesi vanno tenuti ben presenti. Ribadisce, al di là di tutte le dichiarazioni di facciata, che il generale Haftar, per la prima volta ricevuto in una capitale europea, gode ancora dei favori di Parigi e che è un punto fondamentale sul quale ricostruire gli equilibri del paese.
E l’Italia? Mercoledì Gentiloni ha incontrato Serraj, ma è vero che la Francia “ci ha scavalcato sulla Libia”?
In parte sì. L’Italia è in una posizione privilegiata per conoscenza del paese, per familiarità con molti degli attori locali e per la presenza della propria ambasciata a Tripoli. Ma l’Italia da sola non potrà cambiare le sorti della crisi libica sovvertendo dinamiche centrifughe che hanno radici interne e esterne, determinate dalla continua azione di pressione e influenza sugli attori locali da parte delle potenze esterne. Il ministro degli Interni Marco Minniti ha fatto la spola costante tra Italia e Libia, recandosi più volte nel Fezzan, che storicamente la Francia considera una propria sfera di influenza affine al mondo saheliano di cui è padrina e nel quale Macron ha compiuto il primo viaggio all’estero per rimarcarne la centralità nel disegno francese di “françafrique”. L’Italia è comunque in grado di una profondità di dialogo (con le milizie con i rappresentanti locali e tribali) che la Francia in questo momento non ha. Tuttavia il peso politico francese, inutile negarlo, è superiore a quello italiano. Tuttavia se Macron pensa di aver sistemato il paese con questa rapida convocazione del vertice si sbaglia di grosso e tutti i problemi risalteranno fuori.
Dunque, dopo il vertice francese, cosa cambierà in Libia?
Molte incognite su nodi fondamentali rimangono irrisolte: la prevalenza della leadership politica o di quella militare, la forma statuale della nuova Libia, la revisione del processo di dialogo avviato due anni fa, lo scioglimento e l’integrazione delle milizie all’interno dell’esercito. Un punto critico è relativo alla lotta al terrorismo che costituisce una eccezione al cessate il fuoco. Ma chi darà la definizione di alcune formazioni di miliziani come gruppi terroristici? Se sarà lasciato ad Haftar è facile intuire come la sua accezione estesa del fenomeno possa contribuire ad accrescere le tensioni nel paese e acuire le conflittualità.
Quali sono le criticità che restano per Serraj e Haftar?
Le criticità sono dettate dal fatto che quello che si profila all’orizzonte sia un patto sempre più squilibrato. Se vogliamo una reale stabilità è necessario che sul piano negoziale vi sia equilibrio. Haftar è la parte preponderante e gode oggi dell’appoggio di Russia, Egitto, Emirati e Francia. Gli Stati Uniti seguiranno la maggioranza, per loro è sufficiente che la Libia non sia un nuovo problema. Serraj è la parte più debole. Resta l’Italia, sopraffatta dai mutamenti dello scenario internazionale. Poca cosa purtroppo.
Tornando alla Francia: che interessi ha avuto? Total? Consolidarsi con gli sponsor di Haftar (Egitto, Emirati) che sono ottimi clienti degli armamenti francesi? La grandeur di Macron?
Questa accelerazione francese costituisce una bella vetrina per Macron dotandolo di una allùre internazionale di mediatore. E mette nelle condizioni Macron di proporre anche in sede ONU (grazie al seggio permanente) una vera road map. Questo è fondamentale. Vi sono poi dei corollari importanti: la sincronia tra l’appoggio ad Haftar forte in Cirenaica e la Total che qui ha i propri maggiori investimenti. E anche il rafforzamento dell’asse sunnita (Egitto-Arabia Saudita-emirati) qui in sintonia con l’americano Donald Trump.