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Corea del Nord, la minaccia di Kim, le promesse di Trump

Il presidente americano Donald Trump è tornato a usare una retorica dura contro la Corea del Nord, promettendo “il fuoco e la furia, e sinceramente anche la forza, a un livello che questo mondo non ha mai visto prima” se il dittatore Kim Jong-un non bloccherà il suo programma missilistico/nucleare (da notare: lunedì il suo segretario di Stato parlava di avviare una pressante mediazione). È il livello più alto di tensione tra i due paesi, è una dichiarazione fortissima (quanto rara) per un presidente americano.

LA MINACCIA SPECIFICA

Martedì una notizia bomba è uscita sul Washington Post, che avuto modo di apprendere da funzionari dell’intelligence americane che il Nord è riuscito efficacemente a miniaturizzare una testata, ossia renderla delle dimensioni adatte per essere trasportata all’interno di un missile. L’informazione è contemporaneamente confermata dal Libro Bianco del ministero della Difesa giapponese. Sintesi: “Dall’anno scorso, quando ha forzato due test nucleari e più di 20 lanci balistici, le minacce alla sicurezza sono entrate in una nuova fase”, dicono i Japan, ed è noto che ogni test implementa le capacità tecnologiche nordcoreane. Ora c’è da capire l’efficienza tecnica di queste testate miniaturizzate, che non è affatto certa.

LA MINIATURIZZAZIONE DELLA BOMBA

Il conteggio delle testate atomiche in possesso di Pyongyang è incerto, forse un ventina forse di più fino a sessanta, ma finora c’era la (quasi) certezza che i tecnici nordcoreani non fossero riusciti a crearne di adatte all’inserimento nei vettori balistici. È dunque evidente che la miniaturizzazione rappresenta un ulteriore (e in parte inaspettato in tempi così rapidi) step della minaccia: praticamente un nuovo punto fisso per la linea di pensiero di chi sostiene che ormai la situazione è sfuggita di mano al punto che occorre accettare un Nord armato, e avviare con questa neonata potenza nucleare un altro genere di relazioni. Per capire la dimensione della situazione: dice il sindaco di Tokyo che ormai, nonostante le misure di sicurezza messe in atto dalla sua città, nel tempo in cui i cittadini sarebbero chiamati nei rifugi, un missile potrebbe già aver colpito la capitale giapponese.

L’ATTACCO A GUAM

La retorica dura di Trump è collegata sia alla reazione provocatoria nordcoreana alle nuove, dure sanzioni su cui gli Stati Uniti sono riusciti a veicolare il voto all’Onu, sia soprattuto alla questione della miniaturizzazione della testata (che il capo del consiglio di Sicurezza nazionale ha definito sulla MSNBC “una cosa intollerabile per le visioni del presidente”). A peggiorare la situazione, la possibilità di un attacco su Guam evocato dal Nord. L’agenzia di stampa statale nordcoreana KCNA ha detto che i militari di Pyongyang stanno definendo i dettagli per colpire l’isola che ospita la grande base strategica Andersen dell’Air Force – è da lì che decollano i bombardieri B-1 che Washington manda in giro per i cieli coreani come monito muscolare per richiamare l’attenzione di Kim su quanto un attacco contro di lui potrebbe essere facile (uno di questi voli c’è stato anche l’8 agosto), show of force che finora non hanno fatto indietreggiare il dittatore asiatico di un centimetro. Un attacco “preemptive” non è “monopolio esclusivo degli americani” dice uno statement scritto dai militari nordcoreani, e nonostante da Guam gli americani rassicurino i connazionali, i commilitoni, e soprattutto i residenti – che come racconta l’Associated Press sono stretti in un morsa tra Stati Uniti e Corea del Nord –, si tratta di un’altra minaccia esplicita e su un obiettivo specifico.

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