Giovedì 17 agosto un furgone bianco è piombato sulla Rambla di Barcellona uccidendo almeno 13 persone e ferendone un centinaio; Barcellona è in cima alla lista per le attività jihadiste registrate negli ultimi anni in Spagna, (circa il 20 per cento degli arrestati con sospetti di complottare azioni terroristiche dal 2013 al maggio 2016 proviene dalla Catalogna; dei 150 arrestati, secondo uno studio del think tank Real Insituto Elcano, l’86 per cento erano collegabili allo Stato islamico).
I FATTI
S’è trattato di un attacco terroristico dello Stato islamico, che ha rivendicato l’azione nel giro di sole quattro ore. C’era dunque un coordinamento, o quanto meno dei contatti solidi, tra chi prepara i comunicati stampa di Amaq, la pseudo agenzia stampa del Califfato, e gli esecutori, che erano più di uno come recita la braking news califfale in cui è scritto “soldati” dello Stato islamico; e infatti poche ore dopo un’azione simile è avvenuta a Cambrils, città di mare un centinaio di chilometri a sud-ovest di Barcellona, dove cinque persone a bordo di un’auto si sono lanciate sui pedoni (indossavano false cinture esplosive, poi sono stati uccisi dalla polizia).
LA TECNICA
La tecnica usata è classica: il furgone è stato affittato e poi lanciato contro un soft target, ossia bersagli facili, civili indifesi, la Rambla appunto, una zona pedonale piena di turisti dove la corsa di un veicolo può massimizzare l’esecuzione. Nell’ultimo anno ce ne sono stati una decina di attacchi del genere, a Berlino, a Stoccolma, tre a Londra, la carneficina di Nizza, uno all’università dell’Ohio. Una delle figure più prominenti dello Stato islamico, Mohammed Al Adnani (ucciso in un raid aereo americano lo scorso agosto), leader, predicatore, portavoce, capo delle operazioni estere del gruppo (ossia gli attentati), invitava i proseliti ad organizzarsi in proprio: colpire con i mezzi a disposizione, senza la necessità di creare una cellula e studiare piani architettati. Il metodo, simile alle mille-lame teorizzate da al Qaeda, era tutt’altro che metodologico secondo Adnani: se avete un’auto, lanciatela contro gli infedeli; se non ce l’avete colpite anche a mani nude. Lanciare i veicoli contro civili per compiere attacchi terroristici è una tecnica usata da anni dai palestinesi in Israele. Negli Stati Uniti, dopo il 9/11, è stata resa obbligatoria l’installazione di paletti ad alta resistenza (quelli che fermano veicoli lanciati fino a 80 km/h) davanti a tutti gli edifici governativi: i paletti sono l’unico modo con cui una città può difendersi da questo genere di azioni, difficilmente imprevedibili sotto gli aspetti organizzativi.
LA PREDICAZIONE
Dell’aspetto tecnico, con dettagli sul come, dove, quando, e con che mezzo agire, se n’è occupata un articolo-istruzioni-per-l’uso uscito sul numero di novembre 2016 della rivista Rumiyah dello Stato islamico. Là si spiegava la scelta dei bersagli (i soft target), il momento adatto per colpire (non a caso, i giorni di festa quando la Rambla era piena di turisti, o a Berlino durante i mercatini di Natale), e il mezzo migliore; meglio dell’autoarticolato che uccise novanta persona a Nizza, i suv, possenti ma allo stesso tempo maneggevoli (se proprio dovete scegliere un furgone, diceva Rumiyah, prendete quelli con le ruote posteriori gemellate, che fanno più morti). La potenza di questo messaggio è diventata mainstream, al punto che sabato scorso un manifestante neonazista in Virginia – uno che ideologicamente odia i musulmani tutti perché li ritiene tutti potenziali attentatori – ha investito la folla di coloro che protestavano contro la manifestazione di separatisti bianchi di cui faceva parte.
L’AZIONE
Almeno una delle persone che si trovano all’interno del furgone, una volta compiuta la corsa assassina, è sceso dall’auto ed è fuggito; si pensava inizialmente fosse andato a ripararsi in un ristorante turco della zona, Mac la polizia ha smentito. Anche questo è parte dell’azione così come viene predicata dal Califfato e insegnata ai proseliti dai tutor che dalla Siria o dall’Iraq, o in giro per l’Europa, mantengono i contatti tra la parte centrale dell’organizzazione e coloro che scelgono di agire – sono questi contatti che permette ad Amaq di pubblicare repentinamente le rivendicazioni degli attentati, perché lo Stato islamico non rivendica mai azioni non proprie, sarebbe una perdita di immagine venisse scoperto (e per l’IS l’immagine è tutto, perché è lì che s’aggancia la fascinazione dei proseliti). Ma l’uomo che ha portato a termine l’attacco non ha seguito le indicazioni. Coloro che scelgono l’azione puntano al martirio, non cercano alibi o fughe. L’esempio è l’attacco al Bourogh Market di Londra: investimento dei pedoni (car-ramming viene chiamato in inglese) e poi attacco al ristorante. L’obiettivo è massimizzare ancora l’azione: una volta fermata l’azione del mezzo, si dovrebbe scendere con qualche arma in pugno e uccidere fino a che non si viene uccisi. (Speculazione: non è per caso che, visto le continue sconfitte territoriali in Siraq, i tutor dello Stato islamico hanno ricevuto l’ordine di mandare all’azione anche proseliti non del tutto formati, che una volta compiuto l’atto cercano rifugio, fuga anziché il martirio?).