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Vi racconto come è stato normalizzato il Meeting ciellino di Rimini

Di Fabio Martini
Giorgio Vittadini

A “guardarlo”, il solito Meeting. Fiumi di gente nei corridoi della Fiera, volontari ad ogni angolo, un programma ricchissimo di ospiti prestigiosi, tantissimi giovani, un “passo” da grande kermesse politico-culturale, la più grande dopo il tramonto delle Feste dell’Unità. Eppure, sotto la pelle immutabile, non scorre più il sangue «ribelle» che in tanti anni ha reso unica la kermesse di Cl, con un peso che l’aveva resa ambitissima dai politici, che qui venivano a prendersi “legittimazione” e voti.

Quello della 38a edizione è un Meeting “normalizzato”, che fatica ad esprimere una diversità culturale, ecclesiale, politica. Come dimostra il programma e la lista degli ospiti, ecumenica come mai. A parte i grillini (non invitati), c’è il presidente del Consiglio “renziano” ma anche Enrico Letta. C’è il ministro “liberale” Carlo Calenda ma anche la ministra ex Cgil Valeria Fedeli. Il più unitario dei leghisti, Roberto Maroni e il più “leghista” dei forzisti, Giovanni Toti.

Certo in questo ecumenismo pesa il “fine corsa” che, per motivi diversi, ha accomunato i due cavalli di razza sui quali per 15 anni aveva tenacemente (e invano) scommesso Cl: Roberto Formigoni e il cardinale Scola. I ciellini “adottarono” Berlusconi, nella speranza che prima o poi il Cavaliere designasse come proprio erede proprio Formigoni, che però è finito azzoppato dalle vicende giudiziarie. E quanto al cardinale Scola, a dispetto del comunicato della Cei che ne annunciava l’ascesa papale, ora non è più neppure arcivescovo di Milano. Naturalmente non è soltanto questione di “cavalli di razza”. Dalla prima edizione del Meeting (1980) e poi per almeno 25 anni, Cl è stata “Chiesa nella Chiesa”, esprimendo una linea e una militanza di massa opposti a quella dei cattolici democratici. E quindi, prima ancora dei “valori non negoziabili” cari al cardinal Ruini, l’anticomunismo culturale e politico degli Anni Ottanta, quando i detestati democristiani di sinistra – De Mita in primis – guardavano al Pci. E immutabile nel tempo la fedeltà-venerazione per Giulio Andreotti, anche in anni nei quali tutti gli avevano chiuso la porta.

Anche da questo punto di vista il programma di questa edizione è spiazzante. Un appuntamento quotidiano è affidato a Luciano Violante, che – come è noto – da presidente della Commissione Antimafia fu – quantomeno – uno dei principali «accusatori» di Andreotti. E i premier? Vanno tutti bene: nelle ultime edizioni sono stati chiamati Monti, Letta, Renzi e Gentiloni.

(Articolo tratto dal sito de La Stampa)


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