Gli Stati Uniti hanno deciso di bloccare 96 milioni di dollari di aiuti e congelarne 195 di fondi militari di cui l’Egitto avrebbe dovuto usufruire. Motivazione formale: dal Cairo non ci sono progressi sostanziali o impegni virtuosi sulla questione diritti umani. La decisione è stato approvata dalla presidenza all’inizio di agosto, il dipartimento di Stato l’ha trasformata in esecutiva alla fine della scorsa settimana, secondo le informazioni della CNN. A maggio, quando il presidente egiziano visitò la Casa Bianca, i funzionari americani ottennero rassicurazioni che una controversa e restrittiva legge sulle attività delle Ong in Egitto non sarebbe passata, ma poi così non è andata e il disegno è diventato operativo a fine maggio. Però dietro potrebbe esserci anche un’azione punitiva americana per i collegamenti che il Cairo mantiene aperti con la Corea del Nord.
PERCHÈ È IMPORTANTE
La notizia è rilevante perché il rapporto che Donal Trump aveva costruito con Abdel Fattah al Sisi, il presidente/generale che anni fa aveva preso il controllo del paese con le armi prima di farsi eleggere, sembrava solido e basato su solide condivisioni – quello con l’egiziano fu uno dei primi contatti tenuti dal presidente appena preso ufficio, a maggio Trump lo definì “un ragazzo fantastico” che “sta facendo un grosso lavoro contro il terrerismo”. L’egiziano ha una visione dispotica del potere, ha una linea durissima contro le fazioni islamiste interne (che in parte sono l’opposizione) e si vende come uno sceriffo della lotta al terrorismo con cui tessere accordi per la stabilità regionale. E d’altronde quegli accordi già ci sono, perché l’Egitto, insieme a Israele e Arabia Saudita, è il più importante alleato americano nell’area MENA, che è l’acronimo internazionale per Medio Oriente e Nord Africa (negli ultimi 30 anni in Egitto sono arrivati 80 miliardi di aiuti militari americani, dopo Israele è il paese che più ne beneficia). La decisione è un cambio di postura politica notevole: tre mesi fa il presidente Trump, durante la visita in Arabia Saudita, altro paese in cui c’è carenza di diritti, aveva detto che lui non sarebbe stato lì “per dare una lezione”, per “dire a voi quello che dovete fare”: un atteggiamento che sembrava favorire i rapporti tra paesi nell’interesse America First, rispetto alle criticità interne degli alleati. Potrebbe esserci un cambio di linea, l’idealismo sui diritti a cui formalmente si addossa la decisione, ma potrebbe esserci anche la volontà di perseguire globalmente l’interesse in cima alla lista statunitense: il contrasto alla minaccia atomica nordcoreana.
LA QUESTIONE PYONGYANG
Al di là della ricostruzione formale legata alle violazioni dei diritti in Egitto, ce n’è dunque una più affascinante e laterale. Le relazioni tra Pyongyang e l’Egitto risalgano alla Guerra Fredda (erano collaborazioni per la formazione militare, di piloti soprattutto), ma sono rimaste in piedi e adesso per esempio l’azienda di telecomunicazioni egiziana Orascom ha aiutato il Nord a costruire il network di celle che gestiscono i dati per il mobile. Un rapporto dell’Onu spiega che il Cairo si muove in modo ambiguo: per esempio, lo scorso anno ha intercettato e denunciato un cargo che doppiava Suez con a bordo armi dirette in Nord Corea, ma allo stesso tempo l’Egitto è stato accusato di aver ricevuto componenti di missili Scud made in Nord. Già a luglio, secondo un readout della Casa Bianca, il presidente statunitense aveva avuto una conversazione telefonica con l’omologo egiziano (stava andando al G20 Trump, chiamava dall’Air Force One) e l’americano aveva sollecitato il Cairo per boicottare il Nord, ricordando che è quello che lui stava chiedendo a tutti i leader mondiali. Punendo l’Egitto, Trump starebbe cercando di elevare la questione nordcoreana su un livello globale: in questi giorni il Tesoro americano ha alzato nuove sanzioni su aziende e individui russi e cinesi che hanno link con Pyongyang.