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27 banche sotto pressione sui temi ambientali. La mossa dei grandi fondi

Una coalizione di investitori e asset manager sta esortando le banche più grandi al mondo a intervenire a gamba tesa sui progetti ad alto tasso carbonico. Ecco come l’alta finanza si tinge (lentamente) di verde

La spinta verde riverbera anche tra le alte sfere della finanza. Un gruppo composto da 35 grandi investitori e asset manager sta facendo pressione su 27 tra le banche più grandi al mondo – tra cui Goldman Sachs, HSBC e BNP Paribas – affinché queste si impegnino più aggressivamente per il raggiungimento degli obiettivi climatici tracciati negli accordi di Parigi.

La richiesta fondamentale consiste nell’accelerare l’abbandono degli investimenti inquinanti (in termini di produzione di CO2) e aumentare i prestiti “”verdi”. Ma anche correlare gli stipendi al raggiungimento della neutralità carbonica e conteggiare le emissioni indirette, che secondo Carbon Trust in molti casi rappresentano la maggior parte dell’inquinamento prodotto da una data compagnia.

Come riportato dal Financial Times, questo gruppo di investitori “convertiti al verde” controlla all’incirca €9 mila miliardi e comprende grandi realtà come Amundi, Legal and General Investment Management, Nordea Asset Management e perfino l’ente che controlla le proprietà della Chiesa anglicana. La loro collaborazione è stata facilitata dall’Institutional Investors Group on Climate Change (IIGCC), organizzazione dedita a promuovere investimenti virtuosi che conta più di 300 membri, 22 nazioni e il controllo di €37 mila miliardi complessivamente.

Secondo il gruppo di investitori, dal 2016 – l’anno successivo alla firma degli accordi di Parigi – al 2020 le 60 banche più grandi al mondo hanno contribuito con €3,16 migliaia di miliardi al finanziamento di compagnie inquinanti, le cui attività si basano sul combustibile fossile. In questa finestra temporale il volume di finanziamenti “sporchi” sarebbe addirittura aumentato.

“Il problema che dobbiamo affrontare oggi è che troppe banche non tengono conto il danno climatico quando prendono decisioni finanziarie e troppo denaro è investito in quelle attività inquinanti da cui dobbiamo allontanarci così urgentemente” ha detto a FT Natasha Landell-Mills, a capo della gestione dell’asset manager britannico Sarasin & Partners.

La strada delineata dagli investitori verdi passa da diverse misure, da implementare quanto prima: adottare obiettivi intermedi di neutralità climatica più chiari ed efficaci e interrompere i finanziamenti che portano all’aumento di emissioni (anche attraverso la deforestazione), quelli che non rispettano gli obiettivi degli accordi di Parigi o quelli basati su metodi per “negativizzare” la produzione di CO2 (ossia supportare progetti verdi per “espiare” la propria produzione di carbonio).

Si tratta anche di allargare il campo visivo. Benché molte banche si siano fissate l’obiettivo di diventare emettitori neutrali di carbonio, secondo IIGCC molte di esse evitano di includere le emissioni “a valle”. Queste sono le cosiddette Scope 3, comprendono le emissioni prodotte dai fornitori e dai clienti, i viaggi del personale, i rifiuti prodotti, i beni e servizi consumati e gli investimenti e gli asset ceduti in affitto.

La soluzione, che ricorda da vicino il connubio pubblico-privato ipotizzato da Bill Gates, consiste nel monitorare l’intera catena di produzione di CO2. In quest’ottica intervenire direttamente sui finanziatori più grandi al mondo e responsabilizzarli in tal senso è una strategia vincente, perché consente di spostare le leve finanziarie verso investimenti più sostenibili più velocemente ed efficacemente rispetto all’approccio legislativo.

La pressione combinata di questi grandi investitori è sintomo della consapevolezza, sempre più diffusa, dell’urgenza di agire in fretta per contenere l’emergenza climatica. Il numero crescente di investitori e stakeholder che pongono gli obiettivi ambientalisti al centro delle loro priorità fa ben sperare. E se i grandi istituti bancari si assumessero le responsabilità delineate dagli investitori di cui sopra potrebbero accelerare a dismisura il circolo virtuoso di finanziamenti sostenibili che sottende alla transizione ecologica.

Lo sforzo per raggiungere gli obiettivi degli accordi di Parigi richiede l’impegno della società intera, ma alcuni enti possono agire da catalizzatori. In altri termini, l’alta finanza è nella posizione di dare una scossa all’intero processo. Più sono gli stakeholder che premono sulla sostenibilità e prima arriverà l’aggiustamento di rotta delle più grandi realtà di investimento. E a giudicare da quanto stia prendendo piede l’attivismo ambientale, la scommessa verde si fa meno rischiosa ogni giorno che passa.


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