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Giulio Regeni, l’università di Cambrige e il prof. napoletano

Regeni

All’Università di Cambridge hanno poca voglia di parlare. Eppure, la vicenda di Giulio Regeni ha avuto inizio tra le aule dell’ateneo britannico. Dopo le rivelazioni del New York Times sulla responsabilità dei servizi segreti egiziani nell’omicidio del ricercatore friulano e sulle “prove bollenti” fornite dalla Casa Bianca al governo italiano, ipotesi smentita da Palazzo Chigi, il caso Regeni è tornato a occupare le prime pagine dei giornali italiani negli scorsi giorni. Dal Cairo, l’attenzione di cronisti e analisti s’è spostata sul Regno Unito. In particolare, sono emerse due figure, già note alla procura di Roma che segue il dossier, che avrebbero assunto un ruolo centrale nella storia. La prima è il tutor di Regeni a Cambridge, la professoressa Maha Abdelrahaman, che ha firmato una dichiarazione di non pericolosità per le ricerche che il suo studente avrebbe dovuto svolgere al Cairo per la tesi di dottorato. La seconda è il docente della British University del Cairo, Gennaro Gervasio, che Regeni avrebbe dovuto incontrare poco prima della sua scomparsa e col quale stabilì il suo ultimo contatto telefonico.

LA PROF DI CAMBRIDGE

La professoressa Abdelrahaman ha una cattedra a Cambridge ed è un’esperta di movimenti politici e sociali d’opposizione, diritti umani e sindacati. Secondo il Fatto Quotidiano, Abdelrahaman, grazie alle sue nozioni accademiche, era a conoscenza della pericolosità in cui sarebbe potuto andare incontro Regeni al Cario. Tuttavia, è stata lei a dare il via libera al ricercatore per svolgere i suoi studi sotto il regime di Abdel Fattah al Sisi. Per la procura di Roma, la professoressa non avrebbe fornito risposte esaurienti e non avrebbe avuto una collaborazione totale coi titolari dell’indagine sulla morte di Regeni. Gli investigatori italiani, per semplificare i canali, l’hanno raggiunta a Cambridge, dove Abdelrahaman s’è rifiutata di consegnare il suo telefono e il suo computer. Per la docente, gli scambi d’informazioni con Regeni sarebbero stati “sporadici”. Dal pc del ricercatore, invece, s’è scoperto che erano frequenti e regolari. Sui comportamenti della professoressa, l’Università di Cambridge è intervenuta con un comunicato ufficiale datato 4 agosto 2016. “Ci risulta che la dottoressa Abdelrahaman”, si legge nella nota pubblicata dal Fatto, “abbia risposto agli investigatori italiani in due occasioni: la prima, durante il funerale di Giulio, quando fu avvicinata per un interrogatorio immediato. Nonostante le penosissime circostanze, ha risposto alle domande per un’ora e mezza. I magistrati italiani sono poi venuti a Cambridge il giorno della commemorazione. In quell’occasione, Maha ha risposto con completezza a ulteriori domande”.

UN ALTRO STUDENTE AL CAIRO

Lo scorso settembre, l’Università di Cambridge ha fornito alla procura di Roma una serie di documenti richiesti dal pm Sergio Colaiocco, tra cui carte, materiale di lavoro ed effetti personali di Regeni. Elementi che, però, non sono risultati risolutivi. Sulle presunte mancanze dell’ateneo britannico nella collaborazione con gli investigatori italiani è intervenuto anche il generale Leonardo Tricarico, già capo dello Stato maggiore dell’Aeronautica e presidente della Fondazione Icsa per l’analisi strategica e d’Intelligence. Secondo Tricarico, l’Università di Cambridge ha la responsabilità di aver “mandato al Cairo un giovane ricercatore come Giulio senza chiarire confini e rischi del suo mandato. Tutta la parte della storia relativa a Cambridge, ai professori, all’incarico di Giulio, è ancora molto opaca. E questo non aiuta a trovare la verità”. Il presidente dell’Icsa, intervistato da Tiscalinews, ha fornito un altro particolare interessante. “Nel 2016, pochi mesi dopo la tragedia di Regeni, l’Università di Cambridge ha provato a ingaggiare un altro studente italiano e a mandarlo al Cairo per svolgere inchieste analoghe a quelle di cui s’occupava Giulio. Cioè, gli inglesi ci hanno provato di nuovo. Perché? Qual è il vero obiettivo di quell’Università? E’ necessario capire e sapere chi c’è dietro questi incarichi, che cosa si muove. Questo è un aspetto totalmente trascurato in quel gigantesco buco nero che è il sequestro, le torture e poi il ritrovamento del cadavere dello studente friulano. Occorre indagare in questa direzione. Anche gli stessi genitori, che vogliono verità e giustizia, devono andare a guardare qui. Sono certo che, da Cambridge, passi un pezzo importante della storia”.

L’AUSPICIO DI ALLI

Proprio al Regno Unito si è rivolto, con un intervento su Formiche.net, Paolo Alli, presidente dell’Assemblea Parlamentare della Nato e componente della Commissione Affari esteri e comunitari alla Camera dei deputatI: “Chi dovrebbe essere in prima linea con il nostro Paese è proprio il Regno Unito. Giulio Regeni era cittadino d’Europa, di fatto residente in Inghilterra e mandato al Cairo dalla prestigiosissima Università di Cambridge. Come mai oggi il Regno Unito non è al fianco del nostro Paese in quella che è anzitutto una battaglia a difesa della libertà e della dignità di tutti, valori che hanno fatto della civiltà inglese uno dei punti di riferimento della democrazia nel mondo?”, si è chiesto Alli: “E come mai questo strano rifiuto della stessa Università di Cambridge di fornire le informazioni richieste dagli investigatori? Ci scandalizziamo, giustamente, del silenzio e delle omissioni degli egiziani, ma forse anche nella nostra comunità occidentale ci sono responsabilità che vanno accertate”.

IL PROF DI NAPOLI

Gennaro Gervasio, professore napoletano, si trova al Cairo da vent’anni. Insegna nella sede egiziana della British University ed era tra i tutor di Regeni per le ricerche che lo studente italiano stava svolgendo in Egitto per conto dell’Università di Cambridge. Secondo il Mattino, Gervasio non ha mai voluto spiegare il suo ruolo neppure nei giorni successivi al ritrovamento del cadavere di Regeni. Anche lui, come la professoressa Abdelrahaman, avrebbe dovuto conoscere i rischi della missione del ricercatore friulano. Eppure, Regeni è stato mandato allo sbaraglio. L’ipotesi, che sarebbe già stata vagliata dall’Intelligence italiana, è che le ricerche dello studente italiano potessero servire alla Military Intelligence, i servizi di sicurezza britannici. Dal punto di vista geopolitico, il Regno Unito avrebbe avuto interesse a creare un caso diplomatico tra Italia ed Egitto per alterare i rapporti commerciali e le rispettive influenze sulla crisi libica. Gervasio ha rivelato al pm Colaiocco che sarebbe stato Regeni a cercarlo telefonicamente per chiedergli un incontro e aggiornarlo sulle sue ricerche. “Il 24 gennaio, Giulio mi aveva chiesto di incontrarci”, sono le parole che il docente napoletano ha riferito agli investigatori e che sono state riportate dal Mattino. “Era entusiasta di come avanzava il suo lavoro di ricerca e voleva confrontarsi con me. Al messaggio del giorno successivo delle 13,53 non mi sentii di dirgli ancora una volta che non potevo incontrarlo, e rinviai la decisione d’incontrarci nel tardo pomeriggio. Pensai infatti di unire la visita che volevo fare a un mio amico, per il compleanno, con l’incontro con Giulio, che avevo già conosciuto in un’altra occasione”.

SILENZI, SEGRETI, RIVELAZIONI

Alle 19,38 del 25 gennaio, Gervasio ha scritto un messaggio a Regeni per fissare l’ora dell’incontro a 25 minuti più tardi. Regeni ha spento il pc alle 19,41 ed è uscito di casa. All’appuntamento con Gervasio, però, non è mai arrivato. Alle 20,18, il professore ha provato a telefonate a Regeni. Nessuna risposta. Così come alle 20,23 e alle 20,25. Da quel momento, il telefono dello studente, che non sarà mai ritrovato, ha smesso di squillare. Alle 22,30, Gervasio ha contattato l’ambasciatore italiano al Cairo, Maurizio Massari, che ha lanciato l’allarme della scomparsa di Regeni. Il cadavere è stato ritrovato nove giorni dopo la scomparsa in una strada periferica della capitale egiziana. Fonti dell’Intelligence hanno rivelato al Mattino che il corpo di Regeni è stato “volutamente fatto trovare col deliberato obiettivo di far saltare i rapporti diplomatici tra Egitto e Italia”. Tra silenzi, segreti e nuove rivelazioni, il caso Regeni s’infittisce. E dal Cairo, passando per l’Italia, torna nel Regno Unito. Lì dove la sorella di Giulio, Irene, aveva esposto lo striscione giallo di Amnesty International con la scritta “Verità per Giulio Regeni” davanti all’Università di Cambridge. L’ateneo che secondo Paola, la madre di Regeni, deve “rompere il silenzio”.



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