Si è parlato del ruolo dell’Italia nelle missioni militari internazionali e di politica estera durante la trasmissione Uno Mattina andata in onda stamane su Rai1. Ad intervenire, sulla questione, la giornalista svedese del think-tank Atlantic Council Elisabeth Braw, il generale Vincenzo Camporini e l’ammiraglio Fabio Gregori.
Gli italiani sono i maestri militari d’Europa. Nonostante l’Italia spenda solo l’1,11% del proprio Pil per la spesa militare, infatti, rimane una delle nazioni maggiormente attive nelle missioni internazionali. Dopo averlo sostenuto su Politico.eu, Elisabeth Braw, giornalista svedese del think-tank Atlantic Council, lo ha ribadito durante l’intervista a Uno Mattina. Sebbene i Paesi Nato abbiano stabilito di spendere almeno il 2% per la difesa, ad oggi la soglia è raggiunta solo da cinque nazioni: Usa, Regno Unito, Grecia, Estonia e Polonia. Il numero dei soldati italiani impegnati in missioni all’estero, però, supera di gran lunga quello di molti altri Paesi. La Germania, per fare un esempio, dispone di circa 3.500 soldati: la metà di quelli italiani, pari a 7mila. Solo in Kosowo ci sono 600 soldati italiani, mentre in Libano ve ne sono 1.100. “È sbagliato misurare l’importanza di un Paese solo sulla base delle spese per la difesa” sostiene Braw. “Gli italiani fanno tantissimo per la sicurezza europea – aggiunge – e l’Unione europea dovrebbe fare di più”. A supportare la tesi della giornalista, il vicepresidente dello Iai Vincenzo Camporini. “Le capacità sono l’unica cosa che conta veramente. È chiaro che dipendono molto dai quattrini, ma i quattrini non bastano. Bisogna vedere come si spendono i soldi e in che misura vengono gestiti in base alle contingenze del momento”.
L’Italia è ad oggi a capo di numerose missioni fondamentali per lo scacchiere internazionale. L’Ammiraglio Fabio Gregori, in collegamento con lo studio di Uno Mattina dalla nave Virginio Fasan, è al comando della task force antipirateria e supervisiona tre unità navali, fra cui il Fasan, due velivoli da pattugliamento marittimo basati a Gibuti, un team di Forze speciali spagnole e un team serbo imbarcato su un mercantile del Programma alimentare dell’Onu che sta trasportando aiuti militari in Somalia. La task force garantisce libertà di navigazione e sicurezza del traffico mercantile nelle acque del Corno d’Africa, con un’area di operazione molto vasta che va dal Mar Rosso all’Oceano Indiano, passando per il Golfo di Aden, il Bacino somalo e le acque del Kenya, acque in cui transita il 75% delle merci che poi arrivano nel Mediterraneo.
Sebbene l’Italia spenda molto poco, dunque, mantiene una buona immagine oltre che un’ottima capacità operativa, come spiegato dal generale. Le quote di bilancio vanno spalmate su tre settori: esercizio, addestramento e manutenzione; investimento in nuovi mezzi e stipendi. “Gli stipendi bisogna pagarli – ha chiarito Camporini –, i nuovi mezzi sono stati ordinati con contratti a lungo termine e le rate bisogna pagarle, per cui si taglia l’esercizio. Vuol dire che per la manutenzione dei mezzi, i fondi non sono sufficienti”. Bisogna dunque concentrare le risorse dove necessarie e, per il momento, l’Italia sembra esserci riuscita. “A me non interessa la pacca sulla spalla che possono darmi gli americani o gli alleati europei – ha concluso il generale – mi interessa sapere che dove noi siamo le cose funzionano meglio che altrove”.
Per quanto riguarda la questione Libia, invece, è necessario riconoscere, come l’Unione europea ha fatto, lo sforzo di stabilizzazione compiuto dall’Italia, modello di riferimento per l’intera Unione. “Il flusso di rifugiati non si è bloccato – ha commentato Camporini – ma si sta riducendo. Sottraiamo milioni di persone a un percorso pericoloso”.