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Intesa Sanpaolo, ecco i veri conti dell’operazione Popolare Vicenza e Veneto Banca secondo Messina

Carlo Messina, Pier Carlo Padoan

Se Intesa Sanpaolo non avesse scongiurato il fallimento di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca ci sarebbero state conseguenze non solo sul tessuto produttivo del territorio in questione ma sull’intera economia del Paese. Carlo Messina, consigliere delegato di Ca’ de Sass, ha sintetizzato così il risultato dell’operazione che ha portato il suo gruppo, nel giro di poco più di un mese, ad acquisire le due ex popolari in grave stato di crisi. Un iter piuttosto rapido iniziato il 25 giugno, giorno in cui il Consiglio dei ministri ha varato il decreto che ha posto in liquidazione coatta amministrativa i due istituti veneti, e terminato il 27 luglio, quando il provvedimento ha ottenuto il via libera al Senato con la fiducia, 15 giorni dopo l’ok della Camera.

L’OPERAZIONE

Previo pagamento simbolico di 50 centesimi per ciascuna delle due banche, Ca de’ Sass ha rilevato l’intero patrimonio immobiliare di Veneto Banca e di Popolare Vicenza e – come ha evidenziato in una nota ufficiale diffusa all’indomani del varo del decreto in Cdm – crediti in bonis diversi da quelli ad alto rischio per circa 26,1 miliardi di euro; attività finanziarie per circa 8,9 miliardi di euro; attività fiscali per circa 1,9 miliardi di euro; debiti verso clientela per circa 25,8 miliardi di euro; obbligazioni senior per circa 11,8 miliardi di euro; raccolta indiretta per circa 23 miliardi di euro, di cui circa 10,4 miliardi di risparmio gestito. Inoltre Intesa Sanpaolo ha acquisito circa 900 sportelli in Italia e 60 all’estero, inclusa la rete di filiali in Romania, e circa 9.960 dipendenti in Italia e 880 all’estero. Nel contratto siglato il 26 giugno da Fabrizio Viola e dagli altri commissari liquidatori nominati da Banca d’Italia – Claudio Ferrario e Giustino Di Cecco per Banca Popolare di Vicenza e Alessandro Leproux e Giuliana Scognamiglio per Veneto Banca – anche una clausola risolutiva nel caso in cui il decreto legge non fosse convertito in legge oppure venisse convertito con modifiche e/o integrazioni tali da rendere più onerosa l’operazione per il gruppo guidato da Messina. Come svelato dal “Fatto quotidiano”, nella stessa occasione è stato siglato anche un contratto “riservato e confidenziale” redatto dal notaio e manager Pier Gaetano Marchetti. All’interno, una clausola che ha comportato il versamento nelle casse di Intesa – da parte di via XX Settembre – di 4 miliardi e 985 milioni di euro pena la decadenza dell’atto notarile. Una cifra che serve a coprire i 3,5 miliardi “per mantenere inalterati i suoi ratio di capitale” e gli esborsi per gli esuberi, 332mila euro per 3.874 persone (3.000 di Intesa e 850 dei due istituti incorporati).

IL COMMENTO DI MESSINA

Nel giorno in cui sono stati presentati i conti del primo semestre, Messina ha dunque evidenziato l’apporto della recente operazione. “I risultati al 30 giugno di Intesa Sanpaolo riflettono l’acquisizione di parte delle attività di Banca Popolare di Vicenza e di Veneto Banca, due istituti che versavano in condizioni di dissesto conclamato. Per superare lo stato di grave crisi delle due banche – ha ricordato il ceo -, nell’ultimo anno sono state allocate notevoli risorse da parte del sistema finanziario privato – pari a 3,5 miliardi di euro, nel cui ambito la nostra Banca ha partecipato con un ruolo assai significativo – rivelatesi ampiamente insufficienti”. L’intervento di Intesa Sanpaolo, ha detto ancora, “ha posto in sicurezza oltre 50 miliardi di risparmi affidati alle due banche, tutelando così 2 milioni di clienti, di cui 200.000 aziende. Oltre a ciò il nostro impegno prevede che tutte le 4.000 uscite di dipendenti sia gestito senza dover far riscorso a licenziamenti ma attraverso uscite volontarie. È previsto anche un nostro contributo, pari a 60 milioni, per il ristoro delle famiglie titolari di obbligazioni junior. Il nostro intervento – ha sottolineato Messina – ha evitato all’intero sistema bancario di sostenere costi estremamente rilevanti, necessari alla garanzia dei depositi dei clienti delle due banche, stimati in oltre 12 miliardi di euro. E lo Stato italiano non ha dovuto sopportare oneri molto significativi – circa 10 miliardi – per fare fronte alle garanzie pubbliche su obbligazioni emesse dai due gruppi bancari veneti. Il manager romano ha poi menzionato l’accordo del 14 luglio scorso con tutte le rappresentanze sindacali rispetto alla prevista uscita di circa 4.000 persone e ha parlato del futuro che attende le due venete. “Punteremo sugli investimenti in formazione e riqualificazione delle professionalità, destineremo risorse alle infrastrutture tecnologiche. Metteremo al centro del rilancio delle due banche la qualità del servizio, l’attenzione al cliente, la cura per le persone che ci lavorano”. Infine una puntualizzazione: “Il contributo pubblico di 3,5 miliardi è interamente destinato a compensare gli impatti sui coefficienti patrimoniali derivanti dall’acquisto di attività e passività di Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca, salvaguardando così la forza patrimoniale che rende la nostra banca una tra le più solide a livello europeo e che ne fa il porto sicuro al quale gli italiani affidano 870 miliardi di risparmi, una cifra imponente pari alla metà del Pil del nostro Paese”.

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