Forse ce l’aveva sullo stomaco da mesi e forse ha deciso di dirlo proprio il giorno dopo il vertice di Parigi. Comunque sia, se un ministro dell’Interno confessa di aver temuto “per la tenuta sociale e democratica dell’Italia” a causa dell’emergenza immigrazione significa che eravamo arrivati al limite e che quei 12 mila migranti sbarcati da 27 navi tra il 27 e il 28 giugno hanno segnato la svolta. Alla festa dell’Unità di Pesaro Marco Minniti (in foto), di fronte al rischio di “barricate per l’arrivo di migliaia di stranieri e a sindaci che mi dicevano di no”, ha raccontato di aver capito che il flusso andava definitivamente governato. Un lavoro da “apripista” che il vertice di Parigi ha di fatto approvato. “Un Paese capace di cancellare la parola emergenza dal vocabolario è più sicuro”, ha detto il ministro.
C’è da scommettere che il rischio per la tenuta democratica sarà un concetto utilizzato nei prossimi mesi di campagna elettorale da chi ricorderà i meriti per averlo cancellato e da chi solleciterà politiche più severe contro l’immigrazione. Anche se Minniti è ormai sostenuto apertamente da destra, non dimentica di essere un autorevole esponente del Pd: in quel dibattito di Pesaro ha ribadito che lo Ius soli è da considerare un elemento della politica di integrazione “perché rende il nostro Paese più sicuro” e ha aggiunto che “se un uomo fugge da guerre e carestie io ho il dovere di accoglierlo come Dio comanda”. Guerre sì, forse carestie no, visto che proprio a Parigi è stata ribadita la differenza tra rifugiati e migranti economici e per questo si punta ad aiutare quei Paesi. Gli impegni annunciati a Parigi nelle prossime settimane dovranno essere messi nero su bianco: Minniti ha quantificato in 6 miliardi di euro l’investimento che l’Europa deve fare per frenare i flussi dall’Africa, analogamente a quanto fatto con la Turchia mentre resta decisivo il ruolo dei sindaci libici che il ministro ha definito “i nostri migliori alleati”. La Guardia costiera libica, nel frattempo, ha fermato altri 700 migranti in due giorni.
Sul fronte del terrorismo, lo scaramantico ministro (come s’è definito) al “mai dire mai” ha aggiunto che l’Italia ha già battuto terrorismo interno e terrorismo mafioso e che i partner internazionali considerano le forze dell’ordine italiane tra le migliori al mondo. Chi sul terrorismo intende dare un’accelerata è invece il presidente francese Emmanuel Macron che, all’assemblea degli ambasciatori all’Eliseo, ha definito la Libia “un rifugio di terroristi” e le 800mila persone pronte a partire “una minaccia reale”, ha fissato per l’inizio del 2018 una conferenza contro il finanziamento delle reti terroristiche e per la prima volta ha parlato di “terrorismo islamista” che dev’essere la priorità della diplomazia francese. Macron ha annunciato una riunione sulla Libia a margine dell’Assemblea generale dell’Onu di fine settembre e, inoltre, la nomina di un suo inviato speciale sullo sviluppo e la sicurezza del Sahel. Dopo i complimenti di Parigi, è bene che l’Italia marchi a uomo Macron per evitare sempre possibili sgambetti diplomatici in quell’area.