Il nuovo capo dello staff della Casa Bianca, l’ex generale dei Marines John Kelly, ha imposto una dieta informativa stretta al presidente Donald Trump. Ogni articolo che arriverà sulla scrivania del presidente dovrà prima passare un processo di “vetting” da lui controllato. Il termine è lo stesso che per esempio veniva utilizzato per valutare l’integrità dei miliziani assoldati per combattere il regime siriano, e identifica un processo di verifica approfondita. Le notizie che entreranno nello Studio Ovale saranno “vetted” per evitare che sulla scrivania più importante del mondo finiscano cose strambe, cospirazioniste, eccessive, estremiste: quelle che in definitiva sono invece le costruzioni finora preferite da Trump.
Nel frattempo: il 25 agosto Andy Hemming, lo staffer trentunenne responsabile di scovare online le storie amichevoli su Trump ha dato le dimissioni e non avrà più il pass per entrare alla Casa Bianca – una volta trovate le notizie positive le doveva rielaborare e girarle ai giornalisti, guidava un team all’interno del sistema delle comunicazioni che chiamavano “risposta rapida”. Quelle notizie poi finivano in una cartellina cartacea che due volte al giorno veniva passata al presidente.
È noto che il presidente non naviga in Internet da solo, ma preferisce leggere gli articoli stampati su carta. Ed è altrettanto noto che preferisce leggere quelli con lui più benevoli. Circostanza che spesso s’incastra con le pubblicazioni provenienti da siti che sostengono le più stravaganti teorie del complotto o amenità simili. Il fatto che ora Kelly voglia vedere tutto ciò che viene consegnato alla lettura di Trump è un altro segnale del processo di normalizzazione imposta dai commissari del Comitato per Salvare l’America alla Casa Bianca.
Le cose sembrano cambiare intorno a Trump. Ora, per esempio, sulla Resolute Desk non arriveranno più pezzi provenienti da siti come Infowars. Il media outlet guidato dallo schiantato di destra Alex Jones – che appena dopo la vittoria si è vantato di aver ricevuto una chiamata di ringraziamento da Trump, che il presidente non ha mai smentito – è un covo di cospirazioni, teorie strampalate, panzane d’ogni genere, che però ha un enorme appeal su una certa fetta d’elettorato americano — non è un segreto che questa coincida con lo zoccolo duro dell’elettorato di Trump, quello che rappresenta la minima percentuale dell’approval del presidente.
Infowars è un sito in cui si trovano (non)notizie raccapriccianti mescolate ai classici claim vittimisti repubblicani: per esempio, venerdì scorso la home page è stata dominata per buomo parte del giorno da un articolo che pretendeva di svelare il video contenente la conferma definitiva che Michelle Obama è un uomo. È un esempio spettacolare che spiega da sé il pubblico che Jones come target. A chi può interesse un certo genere di contenuti? A Trump, tanto che il suo capo di gabinetto ha dovuto impedirgli di leggerlo – e la risposta è l’ennesimo spaccato su questa presidenza e su una parte di quell’elettorato ultranazionalista che la sta sostenendo, che in questo momento si sdogana razionalizzato in un presidente che fa da ponte tra i vecchi sentimenti di estrema destra e le nuove visioni figlie delle iper-cospirazioni.
La dieta di Trump comprende anche l’astensione da GotNews, sito di notizie (anche qui, si fa per dire) diretto da Charles Chuck Johnson. Johnson, che vanta collaborazioni con i più importanti quotidiani conservatori americani (dal Wall Street Journal al Weekly Standard) e un libro che “ha sbalordito” il senatore texano Ted Cruz, si definisce un “radicale rivoluzionario” che vorrebbe dar fuoco all’intero establishment politico “per divertimento”. È diventato famoso per aver fabbricato notizie su scandali personali di certe persone pubbliche, per esempio sul giornalista David Kirkpatrick, capo dell’ufficio del New York Times al Cairo, che lui dice aveva posato segretamente per Playgirl quando faceva il college, o un’altra in collaborazione con un altro sito conservatore, il Daily Caller, in cui si parlava del senatore Bob Menendez del New Jersey che procurava prostitute domenicane da far entrare negli States: altra vetta di Johnson, quella volta che su Twitter scrisse che era arrivato il momento di parlare chiaramente del fatto che Barack Obama “è gay” (era il 2014, ora il suo account personale è stato sospeso).