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Franco Gabrielli e l’integrazione dei migranti fra auspici e realtà

Siamo ormai abituati a leggere o ad ascoltare Franco Gabrielli esprimere le proprie opinioni con grande franchezza e nell’intervista al Corriere della Sera del 31 agosto il capo della Polizia ha messo in fila argomenti inattaccabili. Si può essere d’accordo o meno, ma costringono alla riflessione.

Dopo giorni in cui si sono susseguiti lo sgombero del palazzo di Via Curtatone a Roma con polemiche connesse ed episodi di intolleranza sempre più frequenti come gli incidenti nel quartiere Tiburtino III di Roma o l’aggressione all’autista di bus di Parma, solo parzialmente attenuati dalle prospettive dopo il vertice di Parigi e l’impegno europeo sui flussi migratori, Gabrielli dice tre cose molto chiare: l’immigrazione non è un fenomeno transitorio, si può provare a calmierare i flussi (“Come sta facendo il ministro”) e si può tentare di favorire i rimpatri, sapendo però che spesso “i Paesi d’origine non vogliono indietro i loro cittadini, i quali dall’estero mandano soldi a casa”.

Allora? Una “quota importante” resterà da noi, dice il capo della Polizia, e quindi “bisogna procedere con l’integrazione” per evitare che aumenti l’illegalità e che la frustrazione vada ad alimentare il radicalismo jihadista. La “notizia” sta lì: Gabrielli non è un politico e non parla della necessità di integrazione per raccogliere voti come altri sono contrari per lo stesso motivo, parla come responsabile della sicurezza pubblica. Argomenti inattaccabili, dicevamo, ma come farà l’Italia a integrarli? E, se è permesso, quante di queste persone non hanno nessuna voglia di integrarsi? La “quota importante” di cui parla Gabrielli nel corso degli ultimi anni ha già raggiunto la cifra di centinaia di migliaia di persone con lo “status” di clandestini.

L’acme della polemica sull’immigrazione, in seguito ai fatti degli ultimi mesi, si raggiungerà proprio nella campagna elettorale dei prossimi mesi e che di fatto è già aperta. Un piccolo indizio sta nelle ultime dichiarazioni di importanti ministri: quello dell’Interno, Marco Minniti, ha detto di aver temuto per la tenuta democratica dell’Italia quando alla fine di giugno sbarcarono oltre 12mila migranti in 36 ore; il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, davanti allo stesso pubblico della festa dell’Unità di Pesaro, ha detto invece di non credere che ci sia un problema di “tenuta democratica del Paese per pochi immigrati rispetto al numero dei nostri abitanti”. Nessun problema? Tra luglio e agosto 2017 sono sbarcate 14.700 persone, se ne fossero arrivate quasi 44.900 come in quei due mesi dell’anno scorso oggi potremmo avere incidenti di piazza.

Le parole di Gabrielli, al netto delle polemiche elettorali, costringeranno politici e cittadini a prendere atto di una realtà che sta cambiando. Un ruolo determinante l’avranno le amministrazioni locali, anche quelle che vorrebbero aiutare gli immigrati ospiti facendo fare loro qualche piccolo lavoro che, purtroppo, il decreto Minniti prevede solo su base volontaria. Se fossero costretti, riempirebbero le loro giornate e offrirebbero meno spunti polemici. Invece resta quella parola, integrazione, come una spada di Damocle sull’Italia dei prossimi anni.

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