Mi spiace davvero di non poter partecipare alla festa dell’amico Clemente Mastella per l’assoluzione che ha appena rimediato in primo grado, a distanza di più di nove anni, quasi dieci, dalle accuse che lo travolsero nelle prime settimane del 2008 da ministro della Giustizia – e la moglie da presidente del Consiglio regionale della Campania – per traffici, diciamo così, di nomine nel settore della sanità. Su cui l’allora suo partito – l’Udeur – avrebbe costruito buona parte del suo patrimonio clientelare ed elettorale, per cui comparve agli occhi della gente comune come una mezza associazione a delinquere.
“Sono contento – ha commentato Mastella reindossando per un momento, sia pure metaforicamente, i panni alquanto disinvolti di un Guardasigilli di questa curiosa Repubblica che è l’Italia – per la giustizia perché questa sentenza conferma che la giustizia, appunto, esiste e bisogna crederci, anche quando i tempi sono lunghi”.
Se lo avessi davanti o al telefono, di primissima mattina, quando scrivo, gli chiederei: “Ma, Clemente, ci fai o ci sei? Ti permetti di chiamare ancora giustizia, magari anche con la maiuscola che per decenza ha tolto chi ha raccolto il tuo commento, quella che impiega più di nove anni, quasi dieci, per emettere una sentenza di primo grado, poco importa a questo punto se di assoluzione o di condanna?”. In entrambi i casi, infatti, ritengo che proprio per i tempi impiegati giustizia, sempre al minuscolo, non è fatta, ma sfatta.
Ci sono voluti quasi dieci anni perché dei giudici si decidessero a credere ciò che l’allora governatore della Campania, l’adesso pensionatissimo Antonio Bassolino, disse e chiarì agli inquirenti, cioè di avere disposto le nomine contestate a Mastella senza averne minimamente subìto pressioni o quant’altro, semplicemente muovendosi nel libero e legittimo esercizio delle sue prerogative istituzionali e politiche.
In questa vicenda che porta il nome di Mastella, ma ha avuto molti altri imputati, tutti assolti con lui, non si è sfatta solo la giustizia. Si è sfatta, o è stata sfatta dalla magistratura, anche la politica perché non dimentichiamo che con le dimissioni dell’allora ministro Mastella cadde anche il secondo governo di Romano Prodi, che a sua volta si trascinò appresso la legislatura cominciata solo due anni prima. Poi altri magistrati ancora hanno permesso ai soliti manipolatori di ricostruire a loro modo la storia, diciamo così, attribuendo la crisi ad una operazione di compravendita di parlamentari da parte di Silvio Berlusconi, allora alla guida dell’opposizione.
Giustizia è sfatta con la tardiva sentenza di assoluzione di Mastella, felice forse soprattutto per avere evitato con una ingiusta condanna, sia pure solo di primo grado, anche la decadenza dall’attuale carica di sindaco di Benevento, per quanto eletto direttamente dai cittadini, anche alla luce di un articolo della Costituzione che grida vendetta per la sua ingenuità, o ipocrisia, come preferite. È esattamente l’articolo 111, faticosamente modificato nel 1999 all’insegna addirittura del garantismo. Esso dice, fra l’altro: “Ogni processo si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti al giudice terzo e imparziale. La legge ne assicura la ragionevole durata”.
Sì, avete letto proprio bene. La Costituzione reclama e assicura al tempo stesso una “ragionevole durata” del processo. Vi sembrano “ragionevoli” i quasi dieci anni impiegati per arrivare alla sentenza di primo grado su Mastella? Direi, piuttosto, irragionevoli. Come irragionevole è la legge che consentirebbe adesso alla pubblica accusa di appellarsi e non rendere così definitivo il verdetto di assoluzione emesso dopo tanto tempo. Irragionevole e scandalosa.