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Che cosa è successo al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia

Di Niccolò Mazzarino e Veronica Sansonetti

Con il motu proprio Summa familiae cura, diffuso ieri all’ora di pranzo, il Papa ha dichiarato estinto il Pontificio istituto Giovanni Paolo II per studi su matrimonio e famiglia. Si chiamava “Giovanni Paolo II” perché fu il Papa polacco a volerlo e a fondarlo nel 1981, sull’onda dell’esortazione post sinodale Familiaris consortio. Ora tutto cambia.

NON CAMBIA SOLO IL NOME

L’istituto, che ha parecchie sedi aperte all’estero (la più importante, dopo Roma, è a Washington), cambia natura. Diventa “Pontificio istituto teologico Giovanni Paolo II per le scienze del matrimonio e della famiglia” e si prepara a una radicale trasformazione di programmi, corsi, docenti e – soprattutto – di filosofia ispiratrice. Il tutto, èd è ben chiaro scorrendo il breve documento papale – sulla scia di Amoris laetitia, l’esortazione che ha chiuso e definito la linea al termine del doppio Sinodo sulla famiglia del biennio 2014-2015.

LA RIVOLUZIONE ATTESA

All’Istituto erano certi che qualche novità rilevante ci sarebbe stata. Da tempo, ormai, diversi professori – quasi tutti formati nel solco dell’insegnamento del primo preside e cofondatore, il da poco scomparso Carlo Caffarra – notavano crescenti e potenziali divergenze con uno dei fautori del cosiddetto “nuovo corso”, che ha nel Gran Cancelliere Vincenzo Paglia, (in foto), il portabandiera, seppur per volontà dichiarata del Pontefice.

LA DESTITUZIONE DEI VERTICI NEL 2016

Il primo scossone era giunto nell’estate del 2016, quando il Papa aveva deciso di decapitare i vertici dell’Istituto, rimuovendo l’allora preside mons. Livio Melina, in carica dal 2007, e promuovendo al suo posto mons. Pierangelo Sequeri, un esterno alla realtà del Giovanni Paolo II. A completare il quadro, poi, era arrivata la nomina dell’arcivescovo Paglia a Gran Cancelliere (contemporaneamente alla consacrazione come presidente della Pontificia accademia per la vita).

LA MANCATA PROLUSIONE

Il 27 ottobre scorso, poi, il secondo capitolo della saga: secondo i programmi, il compito di tenere la prolusione d’inaugurazione dell’Anno accademico sarebbe toccato al cardinale Robert Sarah. Conservatore e soprattutto tra i principali oppositori sinodali delle aperture poi risultate vittoriose. Ma poi arrivò lo stop e la prolusione la fece il Papa in persona. Dando sommariamente le linee del cambiamento di “paradigma”.

L’ASSENZA AL SINODO

In realtà, i segnali si erano già avuti ben prima, quando clamorosamente nessun membro dell’Istituto che da più di trent’anni si occupa di famiglia fu invitato al Sinodo sulla… famiglia. E questo benché tale istituto possa fregiarsi della definizione di “Pontificio”. Niente da fare. Un’assenza solo parzialmente sanata l’anno successivo, quando il vicepreside (ma non il preside, che infatti fu destituito qualche mese dopo) José Granados fu invitato con la qualifica minore di collaboratore del segretario speciale. Insomma, poco più d’un contentino.

LA RADICE DEL PROBLEMA

Ma qual è il “problema” dell’Istituto con Francesco e la “nuova linea”? Si tratta – notano diversi osservatori di cose vaticane – di una radicale diversità di vedute circa la morale familiare. Il Giovanni Paolo II confermò sì la piena continuità di Amoris laetitia con il magistero precedente, ma più d’un suo autorevole docente (in interviste, scritti e libri) segnalò i punti oscuri, poco chiari o controversi di quel testo. Ancor prima, netta fu l’opposizione alla linea perorata dal cardinale tedesco Walter Kasper, colui che diede il là alla battaglia sinodale con un lungo discorso tenuto dinanzi ai cardinali riuniti in concistoro ormai più di tre anni fa. Elementi, evidentemente, non più ritenuti consoni all’ampliamento di quelle competenze di cui s’è fatto portavoce ieri mons. Paglia. Uno sviluppo che va tutto nella direzione della missione periferica di Papa Francesco.

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