Tony Blair lascia oggi Downing Street dopo 13 anni, all’Eliseo si è da poco insediato Nicolas Sarkozy che ha preso il posto di Chirac, in Germania Angela Merkel va avanti, idem il collega spagnolo Zapatero. La staffetta riformista fra il leader laburista e quello gollista incarna un’idea di Europa innovativa, in grado di scommettere sul cambiamento e sul rinnovamento. Blair ha svecchiato il suo partito, ha reinventato un sistema di welfare, ha puntato sul merito, sul mercato. Lascia con qualche, inevitabile, strascico polemico. Poco male. La sua avventura politica rappresenta ancora un miraggio in un Paese come il nostro che non solo non ha conosciuto la Thatcher ma che è ancora prigioniero dell’Iri e di una classe dirigente vetusta. Spostandoci Oltralpe poi lo scontro con il modello Sarkozy è impressionante. Il successore di Chirac era così determinato e legittimamente ambizioso che dichiarava esplicitamente di pensare ogni giorno, mentre faceva la barba, all’Eliseo. Ce l’ha fatta. Fuori dagli schemi tradizionali, Sarkò non sembra un gran liberalizzatore ma intanto produce una politica innovativa, dal fisco alla sicurezza.
In Italia, ca va sans dire, la situazione è molto, molto, diversa. Oggi il sindaco di Roma, già segretario del Pds, lancia la sua candidatura a gran capo del Partito democratico. Una discesa in campo importante ma pur sempre figlia dell’emergenza. La crisi di consenso del governo ha imposto una scelta comunque obbligata. In tanti sorridono sul fatto che Veltroni rappresenti una novità, una rottura con il passato. E’ uomo dell’establishment, in effetti. Dovremo aspettare ancora qualche ora e ascoltare il suo intervento a Torino per giudicare il grado di cesura con Prodi e la classe dirigente della sinistra. Dall’altra parte c’è Berlusconi. E’ il più bravo, sicuramente il più forte oggi. E’ comprensibile che consideri la sua leadership un dato di fatto, inoppugnabile. Stupisce però che siano così pochi gli amici del Cav. che tentino di spiegargli che candidarsi alla guida del Paese per la quinta volta consecutiva non è un segnale fisiologico di benessere del centrodestra.
Cosa accadrà da qui al voto (speriamo prestissimo) è impossibile da prevedere. Fini e Casini devono definire le loro strategie. Intanto, provano a irrompere sulla scena la Brambilla da una parte, Capezzone dall’altra. Pezzotta, che pure non è giovanissimo, tenta anche lui di immettere energie nuove. In Italia, come si vede, la battaglia fra presente e futuro è appena agli inizi. Negli altri Paesi il futuro ha già vinto. Nei prossimi mesi sia Veltroni che Berlusconi dovranno provare a dimostrare da che parte stanno. L’intuizione della Brambilla e dei Circoli non è affatto male ma è insufficiente. La gara è apertissima e, guardando a Blair che lascia e a Sarkozy che inizia, abbiamo voglia di sperare ancora.