“È solo fissando cifre e vincoli sui risultati che riusciremo a mobilitarci a sufficienza per ridurre realmente…”. Sfogliando le ultime dichiarazioni di Sarkozy ho un attimo di panico. Ecco, mi dico, Sarkozy è tornato un liberista europeo, convinto che ridurre debito su Pi1 e deficit su Pil, siano altari della politica economica su cui sacrificare crescita e benessere del Continente. E poi sorrido.
“E solo fissando cifre e vincoli sui risultati che riusciremo a mobilitarci a sufficienza per ridurre realmente la povertà. La povertà! Non debito o deficit o inflazione. Solo un cittadino francese, col costante retrogusto del paradosso, poteva cosi sottilmente ridicolizzare il costrutto europeista finora dominante ed esaltare le priorità che debbono trovarsi a1 centro di una vera agenda liberale.
Perché effettivamente un’agenda liberale deve avere due motti. Da un lato la protezione dei deboli per garantire pari opportunità di partenza. E quindi è assurdo che ci si stupisca se Sarkozy sposi un’agenda contro la povertà, motivandolo con un incomprensibile “perché di destra”. Ma un’agenda liberale differisce da un’agenda “comunista” (contrariamente da quello che si avvicinava a sostenere Benedetto Croce in un noto scambio con Luigi Einaudi) perché non si batte per pari condizioni di arrivo. Perché all’arrivo, per un liberale, devono essere premiati i più bravi. E non c’è dubbio che il merito sia l’altro asse portante dell’agenda Sarkozy. Sbaglia chi sostiene che nel programma di Sarkozy “non si dia importanza ad una buona economia di mercato” perché il segreto di una buona economia di mercato è l’esistenza di incentivi, e questi esistono solo premiando il merito: senza incentivi e merito non c’è concorrenza che tenga.
Si dice che Sarkozy sia colbertista e dunque poco americano. Ma chiunque conosca bene 1’America sa bene, quanto colbertista sia il nuovo mondo, quanto presenti siano lo Stato e le sue articolazioni, quanto sia rilevante il rispetto delle regole ed il controllo sul loro rispetto. Certo non si tollerano troppi sprechi nella spesa federale, ma non è lo stesso Sarkozy ad avere sconvolto le carte – forse perchè non proviene dall’Ena, la scuola che ha riempito da sempre i ranghi della Pubblica Amministrazione francese – promettendo a Bruxelles un taglio nei dipendenti pubblici? Si dice che Sarkozy vuole fare deficit quando l’economia tira, e che ciò non è corretto: “in tempi buoni bisogna risparmiare per i tempi bui”. Senza renderci conto che l’attuale positiva congiuntura europea ci rende forse più felici date le passate performance, ma non può accontentare chi vuole un vero risveglio del Vecchio Continente come Sarkozy. È importante soffermarsi su questo nuovo corso europeo che Sarkozy porta avanti. Perché c’è grande confusione in giro sulla portata del suo messaggio. Confusione in Europa e confusione ancora maggiore in Italia. Per due ordini di motivi. Primo, perchè non eravamo più abituati ad un linguaggio simile. Da anni il linguaggio prevalente era quello che esaltava la stabilità: “senza stabilità non c’è crescita”. Vero, ce l’ha insegnato la storia. Peccato ci si sia scordati dell’altra parte che “senza crescita non c’è stabilità”. E Sarkozy ha avuto il merito di interpretare il crescente disagio sociale prima che si tramutasse in aperto dissenso verso la costruzione europea. In un certo senso, la stessa Banca centrale europea, che da Sarkozy si sente aggredita e ferita nel rispetto per la sua indipendenza formale, dovrebbe essere grata alle politiche sarkoziane che permetteranno che tale indipendenza rimanga nella sostanza.
Secondo, perché nel nostro Paese ormai tutto deve assumere i colori dell’ideologia piuttosto che dei contenuti. Occupati come siamo a scontrarci su ogni tema pur di spuntare un vantaggio politico tattico, stiamo di gran lunga perdendo la battaglia strategica di questo secolo cosi sfidante. Sarkozy spariglia in Italia anche nella sua scelta dei consiglieri e delle nomine. Dà spazio ad uomini e donne, giovani e meno giovani, con una sola caratteristica: il merito di essere personaggi brillanti con idee nuove.Non persone “di destra” o di “sinistra”. Non “amici”. Non “anziani navigatori del sistema”. Mai questo criterio nelle scelte è stato più chiaro quando ha chiamato, pochi giorni fa, a capo dei suoi consiglieri economici, l’economista Jean-Paul Fitoussi, le cui posizioni sono state spesso, in Italia, confuse con quelle di “sinistra” piuttosto che con quelle di un finissimo “kevnesiano” e convinto europeo come lui è. Chi vuole conoscere la posizione di Sarkozy si legga la splendida lezione romana di Jean-Paul Fitoussi data lo scorso anno a Roma in occasione del Premio Angelo Costa, http:iiwww.rivistapoliticaeconomica.it. Chi era presente quel giorno aveva capito che qualcosa si stava muovendo nel mondo delle idee in Europa. Ed era tornato a sperare perché è soltanto se qualcosa si muove nel mondo delle idee che si può sperare che un giorno la politica trovi una nuova missione.Scriveva Fitoussi: “Una delle principali giustificazioni della costruzione europea è quella di creare una grande economia in modo tale da beneficiare dei frutti di un grande, unico mercato. Ma, per arrivare ad un tale risultato, gli stati membri hanno concordato di rispettare norme concepite per tutelare il bene pubblico della “stabilità finanziaria”. Cosi facendo, essi hanno collettivamente accettato di sterilizzare almeno in parte gli strumenti per gestire grandi economie, cioè: la politica monetaria e la politica fiscale, senza parlare della politica del tasso di cambio e della politica industriale. E solo un caso che, tra i grandi paesi dell’Ocse, la zona dell’euro è quella che ha il minore deficit di bilancio (consolidato) e il più basso tasso di crescita?”
E ancora: “La transizione verso 1’Ume è stata dominata dai criteri di Maastricht; ormai viene ammesso chiaramente, persino da parte delle massime autorità, che i criteri erano motivati, tra l’altro, dal tentativo (fallito) di escludere dall’euro i cosiddetti paesi del “Club Med” (Italia, Spagna, Grecia, Portogallo). La norma, che scaturì da motivazioni non economiche, adesso intrappola coloro che l’hanno voluta, ed ha pesanti conseguenze in tema di welfare per l’intero Club. La famosa “cappa di piombo”. Tutti punti sacrosanti, che scandalizzarono allora un’audience in parte tecnocratica, volta a preservare lo status quo senza troppo interesse per la tutela dei deboli, le opportunità di crescita, materiali, intellettuali e sociali per ogni cittadino, il merito. Oggi c’è un’aria nuova, quella di questo piccolo uomo che col suo sorriso vigoroso è entrato nelle noiose stanze dei meeting di Bruxelles dei Ministri dell’Economia, ha aperto la finestra ed ha fatto entrare l’aria nuova del futuro.
Il Riformista, 13 luglio del 2007