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Cassazione: no alla droga leggera.

“L’attivita’ di coltivazione di piante di canapa indiana è vietata e sanzionata penalmente anche qualora la finalità dell’agente sia di destinare il prodotto della coltivazione al consumo personale”. Lo ha stabilito oggi la Corte di Cassazione. La decisione è arrivata dopo che una donna era stata condannata dalla corte d’appello di Messina per la coltivazione – presso la propria abitazione – di “8 piantine della specie ‘cannabis indica’, il cui principio attivo avrebbe consentito di ricavare un numero di dosi compreso tra 28 e 43” (Agi). La donna aveva presentato ricorso in Cassazione per erronea applicazione del dpr 309/1990. La Suprema Corte non le ha dato ragione perché “la coltivazione non autorizzata di piante dalle quali sono estraibili sostanze stupefacenti o psicotrope, costituisce un reato di pericolo presunto o astratto, essendo punito ‘ex se’ il fatto della coltivazione, senza che per l’integrazione del reato sia necessario individuare l’effettivo grado di tossicita’ della pianta e senza che occorra fare riferimento alcuno alla sostanza stupefacente che da essa si puo’ trarre e che puo’ dipendere da circostanze contingenti, connesse alla sua crescita, al suo sviluppo ed alla sua maturazione”. Solo pochi mesi fa la stessa Corte aveva consentito, al contrario, “la coltivazione domestica di piante di canapa destinate alla vendita per uso ornamentale”. C’è però una bella differenza tra l’ornamento e l’uso. Quella di oggi è stata dunque una rilettura delle norme sulla droga a seguito di referendum e della leggi Fini-Giovanardi. Tale referendum renderebbe penalmente lecita solo la detenzione, l’importazione e l’acquisto di sostanze stupefacenti ad uso personale con conseguente impossibilità di estendere tale liceità anche alla coltivazione delle droghe, assolutamente vietata nel territorio dello Stato, senza che possa assumere valore scriminante l’uso personale della sostanza prodotta.

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