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La fiaccola è a Pechino

I primi giorni di marzo evocano alla mia mente il tragico rapimento ed il barbaro assassinio di Aldo Moro e della sua scorta. Il doloroso rimpianto del grande statista, della cui opera oggi l’Italia avrebbe tanto bisogno, è acuito dal rapporto di sincera amicizia con cui in vita il Presidente mi ha onorato. Per me Moro era e resta Presidente perché, da democristiano orgoglioso del mio passato, lo ricordo sempre come persona al di sopra delle correnti, delle fazioni, con l’autorevolezza che nasceva da una superiorità intellettuale e morale che, se non l’ammirazione, imponeva il rispetto di tutti.
Ho conosciuto Moro durante la mia lunga militanza nel Partito, e subito ho imparato ad apprezzarne le grandi qualità umane, oltre quelle politiche ben visibili a tutti. Ho imparato a capire le sue parole mai frivole e sempre meditate, ed anche i suoi silenzi che non erano mai indizio di indifferenza o cinismo, ma riflettevano ragionamento ed approfondimento. Anche nei silenzi che spesso accompagnavano le nostre passeggiate, ho sempre sentito il Presidente vicino, partecipe e solidale, al di sopra e al di fuori di ogni retorica e di ogni convenzione.
Ho parlato di passeggiate perché, dalla fine degli anni ’60, il Presidente doveva camminare per almeno mezz’ora su prescrizione medica, e veniva a trovarmi al CONI, dove ho lavorato per oltre quarant’anni come responsabile delle pubbliche relazioni e dei rapporti con le Istituzioni pubbliche. Verso le 8,30, poiché il Presidente era mattiniero, il povero maresciallo Leonardi, capo della sua scorta, mi chiamava ed io scendevo dal mio ufficio incontro al Presidente, ed inanellavo con lui lunghi giri dello stadio dei Marmi, accompagnato dalle sue riflessioni e dai suoi silenzi. Io per lo più ascoltavo, non per soggezione, perché il Presidente con la sua umanità metteva ciascuno a proprio agio, ma perché dalle sue parole, dai suoi atteggiamenti, c’era sempre qualcosa da imparare.
Non ho conosciuto altra persona così intenta ad approfondire qualunque problema, a cercare la verità, sempre disponibile al dialogo e a comprendere le ragioni degli altri, nella più ferma e consapevole difesa dei propri principi etici.
C’era però una materia in cui sinceramente per passione e pratica di vita, io ero più versato di lui, ossia la materia sportiva.
Nelle nostre passeggiate, in quello scenario magnifico che era allora il Foro Italico, prima che nuovi barbari ne facessero scempio, ho parlato tanto di sport al Presidente, da convincerlo infine ad assistere ad alcune manifestazioni, e ricordo ancora la sua partecipazione entusiasta come Ministro alla finale nazionale dei Giochi della gioventù. Veramente il professor Aldo Moro visse quella manifestazione come una festa, felice in mezzo ai ragazzi che esprimevano nella loro esuberante vitalità voglia di competere con i loro coetanei con lealtà, nel rispetto delle regole e degli avversari.
Anche nelle sue partecipazioni istituzionali in campo sportivo Moro fu profondamente diverso da altri politici. Voler capire lo sport nella sua essenza, nei suoi valori, lo apprezzò, ne sostenne il diritto alla pratica come diritto dei giovani e non se ne servì mai per fini personali.
Moro servì lo sport, non si servì dello sport, fu uno sportivo nel senso più alto del termine. Il Presidente non ostentava alcun tifo calcistico, non collezionava figurine, non mandava a memoria formazioni di squadre di calcio, ma nella sua discreta azione di governo fu sempre vero ed efficace amico dello sport italiano.
Fui proprio io ad avere l´intuizione di mettere a contatto Moro con un altro grande, Giulio Onesti, storico Presidente del CONI che mi onorava della sua amicizia.
Onesti inizialmente diffidava di quel politico così schivo, riservato, sobrio nelle parole e negli atteggiamenti, così diverso dagli altri.
Dovetti faticare molto per fare scoccare l´amicizia e la stima fra loro, ma quando si conobbero realmente questo accadde come fatto naturale, quasi spontaneamente.
Moro e Onesti erano due galantuomini, tesi al bene del proprio Paese e anche nelle loro profondissime diversità culturali e politiche, non potevano non trovare punti di incontro e di convergenza.
Con la frequentazione reciproca crebbero fra loro confidenza e stima e, infine, nacque una vera amicizia, da cui il CONI e lo Sport Italiano ricavarono tanti benefici.
Accadde persino che il Presidente Moro, che guardava sempre al futuro del suo Paese, nel 1972 incaricasse il Presidente Onesti di svolgere una missione diplomatica in Cina, Paese con cui all´epoca l´Italia non intratteneva rapporti ufficiali, utilizzando il canale delle relazioni sportive, già attivato da tempo attraverso il CONI con molta lungimiranza.
Onesti svolse la sua missione al meglio, ed il Paese ne ricavò grandi benefici sportivi ed economici, ed io fui orgoglioso di avervi contribuito avvicinando e mettendo in sintonia due persone così diverse, eppure tanto simili nella onestà intellettuale, nell´impegno e nell´amore per il proprio Paese.
In questi giorni in cui sta maturando la tragedia del popolo Tibetano sullo sfondo dell´Olimpiade di Pechino e degli enormi interessi di ogni tipo che questa coinvolge, talora penso che forse Aldo Moro e Giulio Onesti, insieme, avrebbero trovato qualche soluzione per difendere con lo sport, la civiltà e l´umanità. 


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