Non è stata una festa. Alle feste si ride, si celebra la bellezza di qualcosa o qualcuno. Ma il lavoro, nel nostro Paese, non è affatto una cosa bella. No. La Repubblica italiana è fondata sul lavoro. E se le fondamenta sono queste fragili garanzie, pressoché inesistenti, leggibili a stento solo sulla carta, allora è tutto dire.
Il lavoro nobilita l´uomo, o lo ammazza? Mentre milioni di italiani si godevano il Primo Maggio al sole, in riva al mare, nelle belle campagne, o semplicemente rilassandosi in uno degli innumerevoli luoghi che almeno riesce ancora offrire l’Italia, la morte, quella bianca, era in agguato. Uscita dal buio di cui – ahimé – solo la stampa è responsabile, agguantava le vite di altri lavoratori. Quelli che sotto gli occhi di tutti appaiono evidentemente invisibili ogni giorno.
“Quando si verificano assurde e atroci tragedie sul lavoro in angosciosa sequenza in cui perdono la vita dei lavoratori, si leva ancor più fortemente il grido ´basta!´ Non può continuare così, non ci si può rassegnare come una inevitabile fatalità dobbiamo tutti rimboccarci le maniche”. Non lo ha detto uno qualunque, ma il Presidente della Repubblica Italiana Giorgio Napolitano.
In quattro mesi esatti, dal 1° gennaio al 30 aprile, gli infortuni sul lavoro sono stati 270.091. 301 mortali. Solo ad aprile 57.222 incidenti, di cui 69 mortali. Non sono dati inventati se a pubblicarli è la stessa Inail. Ieri altri morti.
Se in Italia si dovesse piantare un albero per ogni “caduto sul lavoro” si fronteggerebbe discretamente il problema del disboscamento. Quale è il senso del lavoro? Il primo è per la sopravvivenza. Mai dimenticarlo. Ma quando il lavoro uccide? Dov’è allora il senso?
“Caduto sul lavoro”. Un’espressione dal sapore antico. Tre parole che usavano i nostri nonni. “Caduto”. Come in guerra. Perché di questo si tratta: di una guerra per la riaffermazione dei propri diritti.