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Forgetting Kabul

Per scoprire grandi notizie bisogna leggere i giornali esteri. Luogo comune? Sarà, ma anche questa volta la grande notizia degli esteri della giornata non è riportata in nessuno dei quotidiani nazionali. Tanto di cappello alla salita del generale Michel Suleiman alla presidenza del Libano. Ma dei 50 miliardi di dollari che Mahmoud Saikal, amministratore delegato dell´Autorità per lo Sviluppo della città di Dehsabz, ha chiesto per costruire ex novo una nuova capitale afghana non c’è nessuna traccia.
Lo scopriamo sul Financial Times di oggi. In seconda pagina il secondo titolo è: “ Afghanistan seeks cash to construct a new Kabul”. Il prossimo mese infatti il Paese farà una richiesta ufficiale alla Comunità internazionale. Il presidente Hamid Karzai ha già individuato l’area nel nord. Qui, nei suoi piani, una nuova metropoli per accogliere 3 milioni di persone, dotata di sistemi di trasporti pubblici elettrici e di un’enorme parco centrale con una montagna e un lago artificiale. Naturalmente, non poteva mancare lo scalo aeroportuale internazionale annesso. “Sebbene – scrive il Ft – il problema della corruzione galoppante sia un forte deterrente per gli investitori esteri”. Non ci pare che questo sia mai stato un problema, anzi, ci verrebbe da aggiungere.
La richiesta ha fatto alzare le sopracciglia dei donatori internazionali certi che il Paese distrutto dalla guerra non dovrebbe spendere le già scarse risorse per un progetto “Kabul centric”. E non sono, infatti, i soli a ritenere fermamente che la priorità ora consista ancora nello sviluppo della sicurezza nazionale, nell’agricoltura e nella debole economia.
Il Dehsabz project già promette di far discutere mezzo Globo. Un’immensa città costruita ex novo, dotata di tutti quei sistemi ecocompatibili che andrebbe a rispondere a tutte quelle richieste che oggi vengono inoltrate sempre più spesso alle millenarie, o centenarie, città di mezzo mondo.
E, allora, noi ci poniamo un altro dubbio. Vorremmo, infatti, sollevare un problema, visto che nessuno sembra averci pensato fino ad ora.
 È giusto che si pensi ad una ricostruzione nazionale ed urbana adeguata agli standard richiesti al giorno d’oggi. Tuttavia, che ne sarà di Kabul? Se è vero che il peacebuilding parte dalla consapevolezza che i peacemakers devono tenere in considerazione anzitutto l’identità della popolazione che si va ad aiutare, le sue inclinazioni, la sua storia, le sue tradizioni, come si può pensare di voltare le spalle alla millenaria Kabul? Come ignorare una perla d’oriente violentata e parzialmente distrutta dalle molteplici invasioni che si sono seguite negli ultimi trent’anni? Perché non ripartire proprio da qui? Da quell’agglomerato di case e palazzi, testimone di un antico splendore…

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