Spranghe, schiaffi. Esseri umani che gettano sassi contro altri esseri umani. Benvenuti a Napoli. Benvenuti nel rione Ponticelli.
L’esasperazione fa da padrona in una situazione che ormai da troppo tempo chiedeva una gestione. Una gestione qualsiasi. Ma non l’assenza di decisioni. Dietro la tolleranza spesso si maschera l’incapacità di decidere. O meglio, di decidere adeguatamente. Esperti e non, tutti sapevano (e sanno) che prima o poi sarebbe accaduto (e che accadrà di nuovo), ancora una volta e in modo più violento.
Napoli è divenuta l’emblema di un Paese malato. Napoli non è più sinonimo di “cultura italiana”. Era quasi meglio pensare alla signora partenopea come all’assolato spicchio di terra affacciato su un mare romantico, dove i profumi dei limoni e delle pizze fumanti si insinuavano tra i mercati colorati straripanti di gente allegramente rumorosa.
Dobbiamo ammetterlo: qualcosa è cambiato. Prima la delinquenza, che oggi appare esser radicata, ma che gli stessi napoletani doc non riconoscono, quasi fosse un corpo estraneo. La camorra, antico problema. Poi i rifiuti. Ora l’emergenza dei rom. Qui non basta neanche più l’esercito.
La popolazione è stanca. Si inizia a ribellare e a far giustizia da sé. E come, infatti, poter permettere un rapimento di un minore? La gente, quella vera, chiede da tempo politiche adeguate. I politici non sono stati in grado di rispondere, lasciando crescere le sacche di intolleranza. Cosa dobbiamo aspettarci ancora?
Tra una settimana esatta il nuovo governo si riunirà a Napoli. Silvio Berlusconi ha deciso così. E forse proprio da qui bisogna ripartire. Per lo meno riportando un po’ di luce, per uscire dal buio del silenzio.
Le telecamere si accendono: gli obiettivi di tutto il mondo sono puntati su di noi.