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Il bisogno di un’Europa reale

È iniziato il countdown. Ancora quattro giorni e sarà la Francia a prendere in mano le redini dell’Europa per i prossimi sei mesi. Accade in un momento che non può essere definito d’oro, ma neanche difficile, perché di momenti difficili ce ne sono stati tanti altri in passato. È la transizione, quella condizione in cui si ha la consapevolezza di non poter essere ciò in cui molti speravano, ma, al contempo, l’incertezza su quel che sarà.
Nei mesi scorsi, alla sola idea della presidenza francese, riemergeva alla memoria l’antico sogno di Difesa parigina. Tuttavia, a sorpresa, pochi giorni fa l’esito referendario irlandese ha generato un’onda d’urto che ha trascinato l’intero continente di fronte ad uno specchio. Uno specchio, non deformante, dove tutti i difetti sono apparsi nelle loro fattezze reali.
“Quello irlandese è stato un chiaro messaggio al sistema di governo europeo” ci spiega Jean-Paul Fitoussi. “Qualcosa non va, la gente ne ha abbastanza di discorsi astratti, privi di risultati concreti”, continua il professore, aggiungendo: “Il popolo irlandese, e prima ancora quello francese e quello olandese, chiedono di dirigersi verso politiche concrete”.
A sentire lui, il cittadino comunitario medio è esausto di sentir discutere di disavanzo pubblico e inflazione. Gli unici numeri di cui la popolazione europea vorrebbe sentir parlare sono quelli della crescita, del potere d’acquisto e dell’occupazione.
E se dovessimo ipotizzare i prossimi sei mesi a conduzione francese che quadro ne verrebbe fuori? “Il governo attuale in Francia ha già messo in atto importanti riforme strutturali come quella che riguarda il codice del lavoro, o quella che disciplina il regime pensionistico. Altre sono ancora in discussione, ma passeranno. Mi riferisco alla riforma della sanità, della sicurezza sociale, della ricerca scientifica e universitaria”.
Rimane comunque, anche a Parigi, il problema globale dello scarso potere d’acquisto della gente “normale”, penalizzata drammaticamente dall’impennata dei prezzi del petrolio e, di conseguenza, dei prodotti alimentari. La Francia, quindi, avrà molti più nodi da sciogliere prima di avere le mani libere per disegnare nuove politiche di Difesa europea. “Mi auguro, anche se purtroppo non ci credo, che gli obiettivi francesi non siano prettamente difensivi – riflette Fitoussi, rilanciando – Eppure l’Europa, ora più che mai, dovrebbe puntare alle politiche energetiche e ambientali, nonché all’armonizzazione fiscale”. Ma le speranze che la Francia lo faccia si abbassano di giorno in giorno.
Il Trattato di Lisbona, che si tratti o meno di fallimento, è comunque una lezione. Un monito a tutta l’Unione europea e agli Stati membri che la compongono. Con sé porta una terribile verità: il distacco tra élite politica e popolazione. Sembra di essere di fronte allo stesso scollamento che si manifestò in Italia pochi mesi fa. E allora il dubbio è lecito: non si tratterà di un problema europeo? “Sì”, conferma Fitoussi. “E proprio attraverso i referendum su “il mini trattato” i cittadini europei hanno trovato il modo di dire a questa élite che c’è bisogno di politiche serie”. Che c’è bisogno di un’Europa reale.

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